Il golf del futuro tra robocop e tiri 30 metri più lunghi

La potenza è nulla senza controllo. Chissà se questo spot pubblicitario del 1994 potrà venire utilizzato per il golf del futuro. Ti sei mai chiesto come sarà il golf tra venti o trent’anni? Se hai scartato le prime due opzioni di risposta (“chissene” e i “problemi-sono-altri”) sappi che, andando avanti di questo passo rischieremo di avere a che fare con il golf dei robocop e dei loro cloni. 


I professionisti saranno sempre più dotati fisicamente e tecnologicamente all’avanguardia. In pratica il giocatore del futuro sarà tutto muscoli, trackman e driver. I tiri saranno così forti e lunghi da far risultare troppo corto quasi ogni percorso a 18 buche, quelli da major compresi. Non sono impazzito ma sto estremizzando i dati pubblicati da Sport Illustrated.

In quest’ottica giocatori estremamente tecnici e virtuosi come J.B. Holmes e Kiradech Aphibarnrat sembrano destinati a diventare merce rara. Il Masters 2009 vinto dall’argentino Angel Cabrera potrebbe essere considerato l’ultimo major vinto da un puro talento.

Oggi si picchia forte

Secondo le statistiche pubblicate sulla rivista americana nel 1990 la distanza media coperta da un professionista con un colpo era di 240 metri. Trent’anni dopo (2018) la media è salita quasi a 270, vale a dire il 12% in più.

LAHAINA Dustin Johnson la tocca piano sul tee shot della 13 al 2019 Sentry Tournament of Champions golf del futuro

LAHAINA Dustin Johnson la tocca piano sul tee shot della 13 al 2019 Sentry Tournament of Champions ( Kevin C. Cox/Getty Images/AFP).

Premesso che siamo davanti a un fenomeno quasi paranormale per classe e tecnica, è stato Tiger Woods uno dei primi ad abbinare muscoli e swing. Tiger capì prima di tutti l’importanza di un fisico esplosivo da forgiare in palestra. Oggi la sua eredità è largamente raccolta e condivisa. Basti pensare al corpo di due ex numeri uno come Dustin Johnson o Brooks Koepka (una sua pallina colpì in volto una spettatrice alla Ryder Cup di Parigi).

Il golf del futuro: i percorsi

Il golf si evolve e con lui tutto quello che ci sta attorno. O quasi tutto. Sport Illustrated cita ad esempio la buca 13 dell’Augusta National.

AUGUSTA Patrick Reed lancia il putter alla buca 17 del giro finale del 2018 Masters Tournament (foto Andrew Redington/Getty Images/AFP).

AUGUSTA Patrick Reed lancia il putter alla buca 17 del giro finale del 2018 Masters Tournament (foto Andrew Redington/Getty Images/AFP).

Quella buca è stata disegnata nel 1931 da Alister MacKenzie per essere quasi ingiocabile con le sue 510 yards. Dalla partenza non si vede l’asta della bandiera bensì azalee ed abeti. Il green è ben difeso dall’acqua e prima di arrivarci è necessario piazzare due bei colpi in fairway. Un par 5 difficilissimo… fino a qualche tempo fa: Patrick Reed, nel giro finale del Masters 2018, col tee shot ha “cancellato” azalee e dogleg. “Uno dei par 5 più indisponenti mai concepiti è stato trasformato in un par 4 abbordabile da Reed” scrive il collega Daniel Rapaport per SI. E teniamo presente che Reed (Masters Champions in carica) all’epoca non era un campione nel gioco lungo: era l’ottantesimo nella classifica di chi tira più lontano sul PGA Tour.

I percorsi stanno sempre più stretti ai robocop del golf del futuro. Fortunatamente chi ha spazio attorno corre ai ripari, si allarga ed attutisce l’effetto-potenza. Francesco Molinari ha vinto il suo Open Championship 2018 a Carnoustie chiudendo a -8. Nel 1975 Tom Watson vinse sempre a Carnoustie il British Open a -9. Koepka ha conquistato lo US Open 2018 a Shinnecock con un colpo sopra il par laddove Raymond Floyd vinse lo stesso titolo nel 1986 con uno sotto.

Il golf dei Robocop: palline o razzi?

Certo: gli anni passano e migliora tecnologia e attrezzature a disposizione a certi livelli. A parità di condizioni atmosferiche, sono tre i fattori decisivi per un colpo più o meno forte: swing, ferro e pallina.

ATLANTA Una Titleist "volata" in un bunker (Foto Kevin C. Cox/Getty Images/AFP).

ATLANTA Una Titleist “volata” in un bunker (Foto Kevin C. Cox/Getty Images/AFP).

Tutto inizia dal movimento: se viene eseguito correttamente, il ferro ne “immagazzina” la forza per poi trasferirla alla pallina. E lei quindi vola. Vola via veloce, velocissima. diventa quasi un proiettile. Più di un tecnico affibbia alla pallina la responsabilità dell’esplosione della potenza nel golf. Il punto di non ritorno è stato l’introduzione della Pro v1 ad inizio Duemila, innovazione che ha mandato in pensione le palline ricoperte in una gomma chiamata balata. Le Titleist Pro v1 sono ricoperte di uretano e la differenza si è vista: dal 2001 ad oggi non c’è gara su qualsiasi circuito professionistico che non sia stata vinta con la Pro v1.

Nel 1990 la distanza media coperta da un pro era di 240 metri, oggi è salita quasi a 270 Condividi il Tweet

Da non sottovalutare anche la diffusione del trackman che consente di studiare nel dettaglio lo swing, l’impatto e il volo della pallina. Quasi in tempo reale su un tablet arrivano tutti i dati di un colpo, pronto da analizzare. Solo quindici anni fa questa tecnologia era futuristica: oggi nessuno sembra poterne fare a meno.

Così per assurdo, Bernhard Langer tira più forte oggi a 61 anni compiuti di quando ne aveva 27. Oggi da giocatore senior arriva a 257 metri, ieri da professionista “solo” a 245.

ST LOUIS Brooks Koepka impegnato nel PGA Championship 2018 a Bellerive (Richard Heathcote/Getty Images/AFP).

ST LOUIS Brooks Koepka impegnato nel PGA Championship 2018 a Bellerive (Richard Heathcote/Getty Images/AFP).

Tutto cambia, tutto accelera. Basti pensare che nel 1980 la correlazione tra driving accurancy e il punteggio medio era del 53% mentre quella tra la distanza e il punteggio medio era pari al 13%. Due anni fa la prima era scesa al 12%, la seconda salita al 44%. La precisione quindi può attendere: il golf del futuro prediligerà un tiro lungo ma non preciso ad una rasoiata in centro fairway con vista green.

Dominare l’evoluzione? Tre soluzioni

L’eccessivo peso del fattore-potenza va regolamentato? Più d’uno tra gli addetti ai lavori crede di sì. In questo senso sono da intendersi i limiti alle dimensioni delle teste dei driver introdotti nel 2004 da USGA e R&A. Ma l’intervento più grande dovrebbe avvenire sulle palline. Nicklaus propone di ridurne la velocità in partenza. Qualcun altro vorrebbe far omologare palline costruite con materiali più lenti. Esiste anche una terza via per il golf del futuro: differenziare il tipo di pallina usata da pro da quella degli amateur. Ai secondi si potrebbe consentire di continuare con le Pro v1 e le sue sorelle, ai primi verrebbe vietato. Si potrebbe quindi proseguire sulla falsariga dell’uso dei misuratori Gps in campo, vietati ai professionisti, consentiti ai dilettanti.

 L’alternativa è lasciare libera la potenza, senza controllo. Chissà se avremo altre storie di golf da raccontare.

(Grazie a Federico Graziani per il grafico, a Gonzalo Caponi per la consulenza)

 

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