PGA Tour, una stagione da favola si presenta per il secondo capitolo

A 94 giorni dall’ultima pallina imbucata il PGA Tour è pronto per tornare. In questo servizio si ripercorrono i tre mesi più difficili nella storia del più importante circuito di golf al mondo.

Il golf è pronto per il primo evento da marzo

di Jim McCabe

FORT WORTH, TEXAS – Nel deserto di Scottsdale, in Arizona, negli ultimi giorni dello scorso gennaio, l’euforia per l’Open Waste Management Phoenix conquistava tutti. I maxischermi erano illuminati, la folla circondava la celebre sedicesima buca e i golfisti famosi si intrattenevano con gli spettatori accorsi in massa.

PONTE VEDRA BEACH Jon Rahm (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP). PGA TOUR

PONTE VEDRA BEACH Jon Rahm (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP).

Era il sedicesimo torneo della stagione 2019-2020, iniziata da cinque mesi e già di estremo successo. Tiger Woods aveva già vinto: suo era il ZOZO Championship, traguardo che gli aveva fatto raggiungere Sam Snead e condividere con lui il record di vittorie sul PGA Tour. Anche Justin Thomas si era imposto due volte e Rory McIlroy aveva trionfato in Cina, tornando ad essere il numero uno del mondo.

Tutto sommato, era una serie di successi che sembrava promettere molto bene per il golf in un panorama mondiale.

Allo stesso tempo dall’estero iniziavano ad arrivare notizie circa la diffusione di un coronavirus. L’Organizzazione Mondiale della Sanità suggeriva alle nazioni di prepararsi a predisporre attività di contenimento e isolamento, anche se il governo federale e le amministrazioni locali Usa non insistevano troppo su quello che gli esperti stavano chiamando “distanziamento sociale”.

Quando Webb Simpson superò Tony Finau nel playoff il 2 febbraio il PGA Tour (anzi qualsiasi sport in America) non aveva alcuna connessione con l’universo del coronavirus. Dopotutto vi erano solo sette casi confermati negli Stati Uniti su una popolazione di 331 milioni di persone. Ma dopo meno di sei settimane, questi universi si sarebbero scontrati, in modo mai visto prima. Il PGA Tour, come ogni altra attività negli Stati Uniti, doveva affrontare una cruda realtà.

Doveva essere fermato.

La pandemia, un’onda invisibile sul PGA Tour

La pandemia era arrivata come un’onda invisibile, proprio quando il golf stava per lanciare una serie di eventi importanti, a partire dal The Players Championship.
Nell’aria però si respirava un senso di disagio. In quelle ore già 18 decessi erano stati attribuiti al Covid-19 e vi erano più di 1.200 casi nel Paese. A peggiorare la situazione contribuiva il fatto che non si sapeva molto sul virus dal punto di vista medico e le domande superavano di gran lunga le risposte.

PONTE VEDRA BEACH Tommy Fleetwood a marzo firmava autografi nel giro di pratica del "The PLAYERS Championship" (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP) PGA TOUR

PONTE VEDRA BEACH Tommy Fleetwood a marzo firmava autografi nel giro di pratica del “The PLAYERS Championship” (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP).

Il commissioner del PGA Tour, Jay Monahan, iniziò a parlarne e a prepararsi. Le informazioni ottenute dal consulente medico del PGA Tour (il dottor Thomas Hospel) e dalle organizzazioni sanitarie statunitensi e mondiali, confermavano la possibilità di proseguire con il torneo. Gli epicentri del Covid-19 erano pochi. Le attività sportive negli Stati Uniti continuavano e quindi i dirigenti confermarono il TPC Sawgrass dell’11 marzo, una gara che si annunciava magnifica.

Prima di sera però, il quadro era cambiato drammaticamente. Un giocatore NBA era risultato positivo al Covid-19, un segno preoccupante.

Lo stop al The Players

Il giovedì del The Players era iniziato con un clima ideale e al torneo c’era probabilmente la folla più numerosa mai registrata. I tifosi avevano ammirato Hideki Matsuyama chiudere in 63 colpi, ben nove sotto il par ma Monahan non si era goduto lo spettacolo. Lui stava passando la giornata controllando quello che succedeva altrove. La NBA aveva sospeso la stagione e anche il torneo di hockey e la Nascar erano state sospese. La Major League di baseball aveva annunciato che non avrebbe iniziato la stagione.

Pur se tribune stracolme avevano assistito al primo giro, Monahan e il suo team presero la decisione di proseguire la gara senza spettatori. ”Sia la Casa Bianca che il governatore della Florida sostengono le misure precauzionali che abbiamo preso fino ad oggi” aveva annunciato il commissioner a metà mattina del giovedì. “Tuttavia –  aggiungeva – è importante notare che questo potrebbe cambiare”.

Circa otto ore più tardi, questa previsione diventava realtà nel modo più impensabile. Il Tour cancellava The Players.

Cosa era successo da metà mattina a tarda serata? “Numerosi giocatori avevano espresso le loro preoccupazioni – disse Monahan – e prendiamo in considerazione tutto ciò molto seriamente”. Poco a poco, gli Stati Uniti vennero praticamente chiusi o messi in stato di “rifugio sul posto”. Monahan e i suoi collaboratori sapevano che il golf era l’unico sport ancora in essere. Il 13 marzo annunciò solennemente “Questo è l’evento più importante dell’anno. Tuttavia, pur ritenendo che il nostro ambiente sia sicuro e che abbiamo fatto tutto in modo corretto, non possiamo continuare e non è giusto che continuiamo”.

Una lentissima ripresa e quell’ottimismo…

Se l’interruzione della stagione arrivò ad una velocità inattesa, il compito di riportare l’ordine sarebbe stato molto lento. Fortunatamente, Monahan è una persona dotata di molta pazienza e di buon senso, doti che gli sono tornate comode nelle settimane successive.

Come prima cosa, alla cancellazione di The Players seguiva quella dei tre tornei successivi. Quindi venne l’annuncio scioccante che il Masters sarebbe stato rinviato rispetto alla consueta data di aprile. In seguito il Tour cancellava altri quattro eventi e quando PGA of America annunciò che avrebbe rinviato il PGA Championship, si capì che la stagione era finita, almeno fino al 17 maggio.

PONTE VEDRA BEACH Jay Monahan, Commissioner del PGA Tour (Foto di Cliff Hawkins/Getty Images)

PONTE VEDRA BEACH Jay Monahan, Commissioner del PGA Tour (Foto di Cliff Hawkins/Getty Images)

Monahan rimaneva ottimista e i giocatori si accorsero della sua fiducia. “Rinvio è una parola confortante – disse Xander Schauffele -. Nella misura in cui una gara rimane rinviata penso che i giocatori manterranno la speranza”.

Monahan era intenzionato a trasformare quella speranza in realtà ma prima c’era un ostacolo da superare. Le autorità mondiali del golf – Masters, U.S. Golf Association, PGA of America, R&A, LPGA – avevano bisogno di essere galvanizzate, non frantumate.

Il 6 aprile, le organizzazioni fecero un annuncio congiunto, chiarendo il futuro di quattro tornei Major. Il PGA Championship si sarebbe svolto in agosto, lo U.S. Open a settembre, il Masters a novembre e l’Open Championship sarebbe stato cancellato.
Con le date fissate per i principali tornei, Monahan si mise al lavoro per organizzare il resto del programma del PGA Tour 2019-2020.

Ancora una volta, il commissioner fece affidamento su un’organizzazione che aveva costruito solide basi in 51 anni di esistenza. Monahan era determinato a riaprire, ma solo con idonee misure di sicurezza. “Abbiamo promesso dall’inizio che saremmo stati responsabili, attenti e trasparenti con il nostro processo decisionale” disse Monahan, annunciando che il Tour sarebbe ripartito l’11 giugno con Charles Schwab Challenge a Fort Worth, Texas.

Ci sarebbero stati 14 tornei in un periodo di 13 settimane, culminati con tre playoff consecutivi della FedExCup: Il Northern Trust, dal 20 al 23 agosto; il BMW Championship, dal 27 al 30 agosto e il Tour Championship dal 4 al 7 settembre.

Il successo di Monahan

Il commissioner ha salvato un programma di 36 settimane, dieci altri eventi vennero cancellati, alcuni altri dovettero cambiare data con conseguenze sulle vite di tutti gli interessati.

ST LOUIS Tiger Woods (foto Andy Lyons/Getty Images/AFP)

ST LOUIS Tiger Woods (foto Andy Lyons/Getty Images/AFP)

Tra l’ultimo round dell’Arnold Palmer Invitational dell’8 marzo e il primo del Charles Schwab Challenge di questa settimana, ci sarebbero stati 94 giorni di chiusura, fatto che ha generato ostacoli e incertezza senza precedenti. Monahan però non ha mai perso la fiducia.

Ha tenuto aperto il dialogo con i giocatori e le città che dovevano ospitare i tornei. Il tutto con il supporto di decine di giocatori che usavano i social media per restare in contatto con i loro fan.

Così, mentre gli sport negli Stati Uniti rimanevano indecisi su come e quando ripartire il PGA Tour aveva pronto un piano di controlli per consentire un certo livello di sicurezza.
Con tutto ormai pronto, bisognava solo aspettare che arrivasse la settimana del Charles Schwab Challenge. Ossia questa.

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