Filippo Barbè a “Golfando”: formazione e promozione cuore di PGAI nel 2020 – Servono regole diverse per pro e amateur

Tempo di bilanci per Filippo Barbè, al primo anno alla guida della PGA Italiana. Barbè affronta l’attualità golfistica, spaziando dai quattro cardini dell’associazione alla Confederation of Professional Golfers, dal golf ‘sfuggito di mano’ alla sede unica dei campionati.

di Silvia Audisio

PGA Italiana ha un nuovo direttivo dallo scorso aprile. Cosa raccoglie dai quattro anni precedenti, con Filippo Barbè vicepresidente? Quali le linee guida per il prossimo futuro?
“L’idea è di muoversi in continuità con quanto fatto negli anni scorsi, tenendo conto che la maggior parte dei consiglieri attuali aveva già un incarico nella passata gestione. Quel Consiglio, anche grazie all’impegno profuso da Antonello Bovari che mi ha preceduto, ha avviato molte iniziative (dalla formazione alla comunicazione, dalla promozione all’agonismo), potenziando anche l’organico. Il collega Francesco Gatti è diventato punto di riferimento degli eventi agonistici e formativi. L’intenzione è proseguire su questa strada, migliorando dove possibile con il contributo dei colleghi esperti e di quelli più giovani presenti in Consiglio”.

Filippo Barbè (foto PGA Italiana).

Filippo Barbè (foto PGA Italiana).

I quattro cardini di PGA Italiana

Ci racconta la stagione appena conclusa?
“Sono principalmente quattro le nostre aree di attività e ciascuna, nel 2019, ha creato nuovi spunti. A partire dalla formazione, con tanti seminari organizzati direttamente o patrocinati. Si tratta per gli associati di opportunità di aggiornamento delle proprie competenze tecniche ma anche di momenti di confronto e di scambio (come con Phil Kenyon). Lo scorso anno è stato lanciato il nuovo sistema di crediti formativi con le relative categorie di merito. Il sistema andrà perfezionato ulteriormente per dare il giusto riconoscimento a chi si è reso meritevole per l’attività svolta in carriera.

Foto PGA Italiana.

Foto PGA Italiana.

Sul piano della promozione, vitale per il nostro sport, abbiamo rinnovato la presenza istituzionale in occasione dell’Open d’Italia a Roma. Sono state tante le iniziative degli associati su tutto il territorio nazionale. Con attenzione all’inclusione e alle diverse abilità. Occorre il massimo sforzo su questo fronte, perché il numero dei giocatori italiani è insufficiente e tutto il settore ne soffre. In proposito stiamo studiando qualcosa di nuovo rispetto a quanto fatto finora, con costi importanti ma necessari per agire in fretta”.

“Per incentivare l’aspetto agonistico della professione – prosegue Filippo Barbè – abbiamo messo in campo 135 pro-am e i nostri cinque titoli, con una qualità di gioco ancora migliorata e una discreta partecipazione. A parte il discorso per il Campionato Ladies per il quale stiamo studiando nuove soluzioni di maggior appeal. Siamo tornati al Molinetto di Milano con The Teachers, a Castelgandolfo (Roma) con il Doppio, a Sanremo con Senior e Ladies. E abbiamo esplorato le novità di Antognolla (Perugia) per il titolo PGAI più importante. La stagione 2020 riserva invece ai nostri professionisti una novità. Ossia per tutti e cinque i campionati avremo un unico club di riferimento a Udine, il Villaverde Hotel & Resort. Una partnership importante che darà continuità alle nostre gare e metterà in luce le qualità di questo complesso golfistico che ha preso nuova vita nel 2013. Abbiamo poi proseguito nel comunicare le nostre attività, presso i giocatori e le istituzioni, così come raccontando il nostro mondo ai media. E lo abbiamo fatto insieme ai nostri partner, nuovi entrati o già al nostro fianco in passato”.

Filippo Barbè: da Confederation of Professional Golfers alla Ryder italiana

PGA Italiana, con le PGA di altri 31 Paesi, appartiene alla grande famiglia di CPG (Confederation of Professional Golfers), quella che fino a pochi mesi fa si chiamava PGA of Europe. Cosa significa farne parte e quali le novità?
“Un nome nuovo, ma anche una svolta nella sostanza. L’associazione dentro e fuori l’Europa rappresenta 12.700 professionisti. Dopo l’uscita della PGA di Gran Bretagna e Irlanda (che in passato molti avvertivano come un po’ ingombrante), l’associazione prosegue il suo cammino mantenendo identità ed elementi costitutivi dei suoi trent’anni di storia. Si guarda comunque al futuro con nuovi focus strategici. Condivisione, collaborazione e sviluppo sono i nuovi principi guida. Avremo la forza di un collettivo più unito beneficiando di economie di scala capaci di ottimizzare opportunità commerciali e di sviluppo per i singoli e per l’intero settore. Come primo passo, stiamo lavorando su una piattaforma digitale che favorisca scambi più rapidi tra le singole PGA. Ma rimangono prioritari i focus sull’aspetto formativo e sulla diffusione del gioco.

Foto PGA Italiana.

Foto PGA Italiana.

CPG è il solo membro del Ryder Cup European Development Trust, dedicato allo sviluppo del golf.  Quali sono i progetti in essere e come è coinvolta PGA Italiana in vista di Roma 2022?
“Creare nuovi giocatori e a dare loro soddisfazioni in questo sport è la mission del Trust, che dal 2004 ha sostenuto 35 progetti in 30 nazioni, investendo due milioni e mezzo di euro. Le somme dovute legate alla Ryder Cup di Parigi 2018 non sono ancora disponibili, ma le iniziative sul tavolo sono pronte a partire. Quella di Roma 2022 è una chiamata fondamentale per il nostro golf e siamo in continuo contatto con la federazione per creare sinergia e portare il nostro contributo”.

“Chi non ha 300 metri di driver è fuori”

Come vede il futuro del golf?
“Ho l’impressione che qualcosa ai piani alti sia un po’ sfuggito di mano, come se non ci si fosse resi conto che il mondo è cambiato e ora siamo in ritardo. E non mi riferisco all’Italia. Occorre domandarsi come mai in tutto il mondo i giocatori stiano diminuendo. Forse alcune cose andrebbero cambiate. Ben vengano dunque le nuove regole, ma sei ore in campo sono davvero troppe. Forse è giunto il momento di separare le regole adottate per i tour da quelle dell’attività amatoriale nei circoli. Regalare più soddisfazioni al dilettante e magari rendere più umano e divertente il gioco ad alto livello. Oggi quello risulta molto monotono per un’esasperazione dell’attrezzatura, probabilmente da limitare. Chi non ha trecento metri di driver è tagliato fuori, i campi diventano ingiocabili e la manutenzione estrema. Il golf è un’altra cosa.”

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