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Golf in Algeria, sul green della 9 si puttano le otto buche precedenti

Finale di stagione per il girovagare del nostro amico Pier Paolo Vallegra sui campi di tutto il mondo (ha giocato in 161 Paesi finora). Questa è la cronaca di un’avventura, ossia quella di giocare a golf in Algeria dove l’unico percorso esistente ha un solo green “presentabile”. E lì si giocano e si chiudono tutte le otto precedenti buche.

“L’Algeria è terra di datteri, deserto, rovine romane e, cercando bene, anche di un campo da golf. Ma bisogna cercarlo bene bene, perché non è facile da trovare… Al telefono nessuno risponde, email non ne hanno.

di Pier Paolo Vallegra

La Federazione (che vive annose beghe interne, con tutti dimissionari) è assente, per cui la ricerca è stata molto lunga e difficoltosa. All’ambasciata non sanno di avere un campo da golf, come pure numerosi hotel della bella zona di Dély Ibrahim, dove si trovano il complesso olimpico Mohamed Boudiaf, lo stadio, il Cercle National de l’Armée, due università…

E pensare che l’Unité de Golf è proprio all’interno del complesso olimpico, anche se non c’è nulla dietro la scritta. No clubhouse, no pro shop, no bar: tutto chiuso come la grata in ferro nella foto.

Pier Paolo e Brahim

Dopo numerosi tentativi, l’Hotel Sidi Yahia mi ha passato un nome e un recapito telefonico, di un certo Aziz. A sua volta Aziz mi ha detto di conoscere una persona addentro il mondo del golf algerino, il capitano Omar  Lakel, già vicepresidente della Federazione. In campo, da giocatore di livello internazionale, nei tornei interafricani Lakel difendeva i colori algerini.

Ho così iniziato una corrispondenza via mail con il capitano che mi ha aiutato per accedere al campo, trovare caddie e sacca con ferri, preferibilmente in grafite. Quando ho avuto il visto dall’ambasciata e il biglietto aereo in mano, il capitano mi ha comunicato che a fine settembre sarebbe stato in Francia. Non ci saremmo incrociati di persona. Mi ha comunque assicurato la presenza di Brahim, il caddie che mi avrebbe accompagnato in campo, con tanto di ferri in grafite.

Collaborazione preziosa quella di Lakel, senza la quale non avrei potuto giocare in Algeria.

All’arrivo un membro della security mi chiede cosa voglio e faccio il nome di Brahim. Lui lo chiama a gran voce e mi chiede 2.000 dinari (15 euro al cambio ufficiale, 10 al mercato nero). Non sono per l’accesso al campo ma per un non precisato Ticket Passengers, rilasciandomi regolare ricevuta. Sul biglietto non si accenna al golf bensì all’Office du Complexe Olympique Mohamed Boudiaf.  

E così eccomi pronto all’avventura, nel vero senso della parola. Il capitano mi aveva avvertito delle condizioni non ottimali del campo. Sono le 10 del mattino del primo ottobre. Temperatura fresca, sui 20 gradi, nuvole e sole (dopo gli acquazzoni torrenziali del giorno prima), lieve brezza dal mare.

Golf in Algeria: si putta solo sulla buca 9

Il campo si presenta del tutto privo di erba (in alcuni punti tracce di erba secca, solo scarsissime chiazze di erba verde) ma non è un campo desert. Niente sabbia. Se fosse desert avrebbe almeno un green potabile, di sabbia e petrolio, ma comunque giocabile. Qui, invece, i green quasi non si distinguono dal resto del campo e, come si nota alla buca 2, il caddie mi sopravanza per indicarmi la buca. A volte la buca è segnalata da uno spuntone di ferro o da una canna con un drappo di fortuna.  

Una buca… di fortuna

Il terreno – per una siccità lunga tre mesi – non solo ha perso l’erba (Brahim mi assicura folta e rigogliosa quando piove), ma si è aperto. Così occorre prestare attenzione nel camminare. Il rischio è prendersi una storta. Sconsigliati i tiri a correre, vista l’assoluta indeterminatezza dell’esito…

Comunque non tutti i mali vengono per nuocere: l’assenza di piogge ha fatto seccare l’erba. Altrimenti sarebbe cresciuta così tanto che si sarebbero perse le palline anche con tiri centrali. La stessa cosa che mi è accaduta a Ciudad del Este in Paraguay, dove l’erba passava i 12 centimetri in fairway…   

I green erano quasi impraticabili. Brahim mi ha spiegato una regola che, viaggiando in giro per il mondo, non avevo mai sentito, una vera chicca, che voglio condividere con i lettori di Golfando.

Una regola nuova per giocare a golf in Algeria

Quando si svolgono gare a livello nazionale (non dimentichiamo che è l’unico campo algerino) non è pensabile costringere i giocatori a puttare in queste condizioni… Ed ecco trovato il modo: quando un giocatore arriva in green alla 1, il marker segna la distanza fra la pallina e la buca. Poi si passa alla 2, dove avviene lo stesso, e così via fino alla 8. La buca 9 è quella che ha un green “meno peggio” e lì si manda effettivamente la pallina in buca per chiudere la 9. Poi su quel green si chiudono tutte le buche precedenti. La pallina viene piazzata alla distanza annotata sulla buca 1 e si putta per la buca 1. Poi la distanza della 2 e si putta per la 2… Il marker somma quindi i putt di ogni buca ai colpi giocati per arrivare in green. Così lo score è completato!

Su questo green si chiudono nove buche

Non ho utilizzato questa metodologia per giocare a golf in Algeria e per la prima volta in vita mia non ho compilato lo score (anche perché non ce l’avevo). Non avrebbe avuto senso marcare un 8 a un par 4 raggiunto in 4 + 4 putt… Per la cronaca, ho fatto l’unico par alla 9, un par 3 di 105 metri, dopo un ferro 9 a 4 metri dal green, approccio con un 9 a correre a un metro e putt.

Solo per le statistiche, il campo è un par 33 (4 par 3, 4 par 4 ed un par 5) per 2.464 metri dai bianchi (2.309 dai gialli, 2.061 dai rossi). Io tutti ‘sti colori non li ho visti.

Dopo il golf, Brahim ci accompagna (ho sempre al seguito un caddie di riserva) in un ottimo ristorante da pesce, La Presqu’ile. E’ un restaurant e poissonerie (una garanzia di freschezza) dove proviamo una bisque aux crevettes, delle ottime sardine alla griglia, rouget (non mi ricordavo fossero le triglie) al forno e un merlan grillé aux amandes con zucca e riso condito. Niente vino, niente birra, quindi succo di ibisco, rosso per le antocianine, e che contiene acido ibiscico, tartarico, citrico e malico. Ne esce un sapore acidulo, che ben si accompagna (contrastandola) alla tendenza dolce del pesce.

Di necessità virtù: dal Bardo alla moschea

Algeri non offre molto a livello turistico, per cui in un pomeriggio si vede ciò che serve: innanzitutto un salto al museo del Bardo. La visita è mirata soprattutto per vedere la parure (gioielli, arredi funerari) ed il modello della tomba di Tin Hinan. Si tratta della mitologica principessa uscita dal deserto che molti identificano con la donna altissima sepolta fra il IV e il V secolo in un megalite ad Abbalessa, considerata la madre dei Tuareg. Un gentile guardiano si scusa e mi dice che dovrei tornare l’anno prossimo per vederla. Perché? Perchè il museo è piccolo e hanno spostato la parure per far posto ad una serie di maschere provenienti dal Mali, Congo e soprattutto Costa d’Avorio… Ma non siamo al Bardo di Algeri? Scelta veramente assurda e incomprensibile…

D’altro il Bardo non ha granché e, come ho letto, è uno dei pochi musei in cui il contenente è meglio del contenuto. In effetti, a parte le bellissime ceramiche che coprono pareti e soffitti, non c’è molto…

Dal Bardo si raggiunge a piedi la Cattedrale del Sacro Cuore, un po’ diversa da quella che domina Parigi dalla collina di Montmartre… In effetti ricorda molto una torre di evaporazione di una centrale nucleare. La stazione di servizio che le hanno messo davanti non migliora la situazione…

A sinistra il Maqam Echahid, a destra la Cattedrale del Sacro Cuore

La moschea di Ketchaoua si erge bellissima ai piedi della casbah, coi suoi due maestosi minareti e la facciata elegantissima. Per visitarla è preferibile conoscere gli orari delle preghiere (che sono variabili, cinque volte al giorno visto che la popolazione è in grande maggioranza sunnita di scuola malikita), presentandosi un quarto d’ora in anticipo. 

La moschea di Ketchaoua

Interessante l’interno, e veramente strano per una moschea: c’è una navata centrale, con soffitto a botte e colonne ai lati, sormontate da capitelli. E’ molto evidente il fatto che, nata moschea, è stata ristrutturata per renderla una chiesa cattolica per molti anni, per poi ridiventare moschea.

In ultimo vale una sosta il Maqam Echahid, il monumento, alto cento metri, dedicato ai caduti durante la lunga e sanguinosa guerra di indipendenza dalla Francia. Fu costruito nel 1982 in occasione del ventennale. Peccato le antenne della televisione che stonano in un luogo così simbolico… Per gli algerini rappresenta quello che la Tour Eiffel è per i francesi, l’anima della città.

E siamo a 161 Nazioni visitate per giocare a golf. Me ne mancano 22 ma per quest’anno basta così!


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