“Non sono un politico, io gioco a golf”: e i diritti umani al Saudi International possono attendere

“Non sono un politico, io gioco a golf”. E’ il mantra comune a quattro dei cinque giocatori più forti al mondo che da giovedì si sfideranno al Saudi International. Lo European Tour fa tappa in Arabia Saudita, al Royal Greens di King Abdullah Economic City. Si gioca vicino Gedda, discussa sede della Supercoppa tra Juve e Milan dello scorso 16 gennaio.

Saudi International

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Oggi come tre settimane fa sport e princìpi sono poli opposti che non si attraggono. Si sfiorano ma non si toccano. Giocare in Arabia nel 2019 significa dare lustro a un Paese dove i diritti umani sono quasi un benefit. Significa accreditare un Paese retto da una famiglia reale sospettata di aver avallato l’omicidio  del giornalista scomodo Jamal Khashoggi, scomparso e ucciso dopo essere stato attirato nel consolato saudita ad Istanbul.

Perché il golf è differente dal calcio

Queste le premesse comuni a Supercoppa italiana e Saudi International. Eppure una differenza nemmeno tanto sottile c’è. Juve e Milan non potevano esimersi dal giocare l’evento organizzato dalla Lega Calcio. Per avere la finale a Gedda gli arabi avevano pagato sette milioni di euro alla Lega in tempi non sospetti. Il problema stava a monte: proprio per il mancato rispetto dei diritti umani, a suo tempo la Lega avrebbe potuto/dovuto rifiutare l’assegno saudita. Una volta firmato il contratto gli impegni andavano rispettati.

ATLANTA Tiger Woods si chiama fuori dalla diatriba: ha rinunciato al "Saudi International" per problemi di sicurezza (Foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP)

ATLANTA Tiger Woods si chiama fuori dalla diatriba: ha rinunciato al “Saudi International” per problemi di sicurezza (Foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP)

Con il golf è diverso. Lo European Tour ha firmato un accordo triennale da 3,5 milioni di dollari per portare questo sport in Medio Oriente, mercato ricco e da esplorare. In pratica Riad ha messo il campo e i soldi, il tour europeo la gara e la visibilità internazionale. E i giocatori? Loro non hanno obblighi contrattuali nè con European Tour nè con gli arabi. I professionisti sono individui liberi di giocare quando e dove vogliono: in Europa e sul PGA Tour esiste un numero minimo di gare da disputare ogni stagione ma nessuno costringe un professionista a volare in Arabia piuttosto che in Sudafrica. Le gare vengono scelte in base al prestigio (vedi i Major), agli sponsor, al montepremi e alla logistica.

Tutti i big al Saudi International tranne Paul Casey

Eppure il Saudi International ha un roaster da mille e una notte. Al Royal Greens scenderanno in campo, tra gli altri, Justin Rose (numero uno mondiale), Sergio Garcia, Henrik Stenson, Ian Poulter e Lee Weestwood. Al via anche gli americani Dustin Johnson, Bryson DeChambeau, Brooks Koepka, Patrick Reed. Ci saranno anche sei italiani (Paratore, Dodo Molinari, Manassero, Pavan, Bertasio e Gagli). Francesco Molinari non sarà della gara avendo programmato in modo differente la stagione agonistica.

Tiger Woods si era chiamato fuori per tempo: nonostante si fosse parlato di una borsa da 3 milioni di dollari per la sola presenza, Big Cat ha declinato quasi subito per una serie di minacce ricevute.

Nessuno dei big ha fatto un passo indietro. Nessun tra i top 10 ha detto: “No, grazie: io gioco a golf ma non in uno Stato dove spariscono gli oppositori e le donne non hanno diritti”.”.

PALM HARBOR Un Paul Casey raggiangte per la vittoria al "Valspar Championship 2018) (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP)

PALM HARBOR Un Paul Casey raggiante per la vittoria al “Valspar Championship 2018 (foto di Sam Greenwood/Getty Images/AFP)

Solo uno ci ha messo la faccia e respinto l’ingaggio. Si tratta di Paul Casey, numero 22 al mondo. Il 41enne inglese ha ribadito nei giorni scorsi di non partire per Riad a causa delle “violazioni dei diritti umani da parte dell’Arabia Saudita”.

Ma Casey è l’eccezione che conferma la regola. Meglio per tutti ripetere il mantra: “Non sono un politico, io gioco a golf”. Tra i princìpi e i dollari hanno vinto i secondi. E’ evidente che ci siano affari e sponsor dietro l’improvviso amore diffuso per il golf in Arabia Saudita. Si parla di ingaggi da 1,5 milioni di dollari per Justin Rose e cifre simili per campionissimi come DJ, Koepka & Co. Oltre all’assegno per la presenza poi ci sono i premi in palio in caso di vittoria o di piazzamento. 

Rose, cinquanta milioni di dollari. Più uno e mezzo

Prendiamo il caso di Justin Rose, numero uno al mondo e campione olimpico in carica.

NASSAU Justin Rose nel giro finale del "Hero World Challenge 2018" (foto Rob Carr/Getty Images/AFP) Saudi Internationale

NASSAU Justin Rose nel giro finale del “Hero World Challenge 2018” (foto Rob Carr/Getty Images/AFP)

L’inglese domenica ha vinto il Farmers Insurance Open: con il premio incamerato ha superato i cinquanta milioni di dollari guadagnati in carriera. Cinquanta milioni di dollari per Rose che ha solo 38 anni alle spalle e davanti almeno un’altra decina ad alto livello. Pensate a un Justin Rose che sbatte la porta e rinuncia al Saudi International. Pensate all’effetto mediatico di una scelta simile. Pensate e basta, tanto non accadrà.

“Non faccio politica – ha ribadito Rose dopo la vittoria in terra americana – e comunque ci sono altre ragioni per giocare. E’ un bel campo, ci sono in palio punti importanti per la Race to Dubai e sarà una bella esperienza per il golf nel mondo arabo”.

Prima di lui Dustin Johnson aveva parlato con l’agenzia di stampa Associated Press. “Mi sono confrontato con il mio team – ha detto DJ – e abbiamo deciso di andare. Sono pagato per giocare a golf. E’ il mio lavoro. Si gioca in una zona del mondo dove a molte persone non piace come vanno le cose ma io non le sostengo. Io gioco a golf, non faccio politica”.

Il ritornello è rilanciato alla perfezione. “Non ho intenzione di entrare in queste polemiche – gli fa eco Brooks Koepka, numero 2 al mondo -, ci aspetta un torneo incredibile”. Bryson DeChambeau punta solo a “promuovere il golf”.

Lo European Tour tira dritto

Dal canto suo, il ceo dell’European Tour si tiene stretto i tre anni di contratto con l’Arabia Saudita. Keith Pelley fa sapere di “vantare ottimi rapporti col Medio Oriente. Qui esistono qualità dei campi, strutture all’avanguardia e voglia di emergere. E la sicurezza degli atleti è una nostra prerogativa”.

Della serie: gli atleti sono al sicuro, i cittadini re permettendo.(s.l.)


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3 risposte a ““Non sono un politico, io gioco a golf”: e i diritti umani al Saudi International possono attendere

  1. Qualcuno è veramente sicuro che non giocare calcio o golf le cose cambieranno?? Illusi non è mai successo. Se il detto ” non mi dire che cosa devo fare ” vale per noi, altrettanto vale per i sauditi.

    • Buonasera Rodolfo, non giocare la Supercoppa o il Saudi International probabilmente non cambierebbe la situazione in Arabia. Di certo servirebbe però per dare un segno. Se in nome dei diritti umani qualcuno rinunciasse a un milione di dollari….

  2. Complimenti ed un bravo a Golfando per avere sottolineato un tema così importante .Tutti noi dovremmo essere sensibili a certi temi perché riguardano la nostra vita ed il futuro di chi ci è accanto. L’insensibilità e il fatalismo sono un terreno fertile per le radici di questi mali. Io sto con Paul Casey e, nel mio piccolo, prenderò spunto per condividere il tema sul mio blog. Complimenti ancora.

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