Tutti contro Dustin Johnson o quasi da giovedì: ad Hartford scatta lo US Open 2017 e gli occhi saranno puntati sul campione uscente e sul montepremi. La cifra è da record: 12 milioni di dollari, il più alto di sempre nella storia del golf. Il secondo Major dell’anno si gioca per la prima volta sul percorso di Erin Hills, nel Winsconsin. Ci sarà anche Francesco Molinari, oggi numero 17 al mondo, l’anno scorso assente dopo sette presenze consecutive. La miglior prestazione in uno US Open è il 23esimo posto conquistato tre anni fa.
Dustin Johnson era in condizioni di forma straripanti prima del Masters, al quale era arrivato con tre vittorie di fila. Una caduta dalle scale della casa affittata ad Augusta gli ha però fatto saltare il Masters. Da allora, complici anche due mesi di stop, stenta a ritrovare il passo, sebbene abbia dato segni di crescita evidenti. Sarà uno dei tanti aspiranti al titolo ma con riserva.
La gara e l’american dream
Lo US Open 2017 è il torneo più sentito e amato dagli statunitensi perché, in teoria, permette a ogni buon giocatore di parteciparvi attraverso una lunga serie di pre-qualifiche. In realtà il field raramente annovera qualche sconosciuto, però resta la bellezza dell’american dream.
Alla vigilia quest’anno regna l’anarchia. Ad oggi nessuno parte realmente favorito anche se molti dei partecipanti ha già vinto in stagione. Oltre a Dustin Johnson il discorso vale anche per Justin Thomas (3 titoli), Jordan Spieth (1), Rickie Fowler (1), per Sergio Garcia e Jon Rahm (uno ciascuno) e per Hideki Matsuyama (3).
Assente (per ora) giustificato Phil Mickelson.
In sostanza chi si avventura in previsioni deve fare i conti con l’incertezza. Inoltre dovrà chiedersi in che stato si presenterà Rory McIlroy, n.2 mondiale, al rientro dopo uno stop per problemi fisici. Un enigma pure Jason Day (n. 3), sebbene abbia ripreso da qualche mese dopo essere stato fermato da dolori alla schiena. Non hanno invece problemi fisici Charl Schwartzel, Alex Noren, Henrik Stenson, Justin Rose e Adam Scott.
Gli esperti affibbiamo l’etichetta di “mine vaganti” a Jason Dufner, Daniel Berger, Billy Horschel e Kevin Kisner. Non si escludono improvvisi ritorni di Patrick Reed, Bubba Watson e di Martin Kaymer.
US Open 2017, il campo questo sconosciuto
SI gioca per la prima volta a Erin Hills, un 18 buche a circa 50 chilometri da Milwaukee. Il campo è stato inaugurato nel 2006 ed è pubblico. E’ la 51esima sede per uno US Open. Nella classifica di Golf Digest sui primi cento percorsi statunitensi è al 42esimo posto mentre è ottavo tra i percorsi pubblici. Il par è 72: il record del campo (per ora) è un 66 firmato Ben Geyer e Mike Ignasiak nello US Amateur Championship del 2011.
E’ il sesto campo pubblico ad ospitare lo US Open: prima la USGA aveva scelto Pebble Beach, Pinehurst, Bethpage, Torrey Pines e Chambers Bay. Cinquemila i volontari, 35mila gli spettatori attesi.
Per rendervi conto di che campo si tratta è sufficiente cliccare qua e guardare le 18 buche con altrettanti video girati dall’alto.
Chicco Molinari tra US Open 2017 e top ten
Per il rientro in questo major Molinari è stato intervistato da Massimo Lopes Pegna per “Sportweek”. Dal settimanale de La Gazzetta dello Sport ne è uscito uno spaccato interessante.
“Chi lo ha visitato, per lo sue condizioni lo descrive come un campo brutale – spiega Chicco Molinari a proposito del percorso di Erin Hills – C’è un rough di quasi mezzo metro, un ritorno agli stereotipi storici. Negli ultimi anni la USGA aveva adottato un setup più simile a un British Open, cioè con poco rough. Prevedo penalità enormi per chi mancherà fairways e green”.
Sul vincitore: “Non mi sorprenderebbe se il vincitore realizzasse uno score sopra il par. Se poi ci sarà vento, come credo, diventerà una gara di sopravvivenza”.
Sulla novità di giocare ad Erin Hills: “Sicuramente ad Augusta i veterani partono favoriti. Qui siamo tutti sullo stesso livello”.
E quindi spazio a Garcia, vincitore del suo primo Major a 37 anni. Il suo è un messaggio “di speranza. Ha avuto la forza – dice – che giocatori come Lee Westwood, per esempio, non hanno avuto. Rischiava anche lui come l’inglese di chiudere la carriera come uno dei grandi a non aver mai vinto un Major. E invece è stato bravo a non pensare troppo a questa etichetta che gli avevano cucito addosso e ad affrontarlo come una gara normale”.
Sull’obiettivo del finale di stagione idee chiare, per non dire chiarissime. “All’inizio era quello di riuscire a entrare nei primi 30 nei punti della Fedex Cup e qualificarmi per l’evento finale Ma tutto si risolve nell’ultimo mese quando i punteggi sono cinque volte rispetto a quelli normali. Ora che sono già nei top 20 al mondo, mi piacerebbe entrare nei top 10“.
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