Giocare a golf a Capo Verde in un nove buche… di un italiano

Tappa a Capo Verde nel giro del mondo per il golf di Pier Paolo Vallegra, un amico di “Golfando” che – con questa – ha già giocato in 159 nazioni Per il nostro blog scrive diari di golf. All’Isola di Sal ha testato il campo… di un italiano. Vallegra risponderà ad ogni domanda sui suoi viaggi.

di Pier Paolo Vallegra

In questi tempi di post (con tanti se e tanti ma) Covid è estremamente complicato saltabeccare all’estero da un posto all’altro. Ci si trova di fronte regolamenti e restrictions differenti. In attesa di tempi migliori, meglio dei point to point.

Fra i pochi ancora possibili, ho scelto Capo Verde, piccolo arcipelago di dieci isolette al largo del Senegal, raggiungibile da Malpensa in otto ore e un quarto (o da Roma in sei). Se non vuoi fermarti per una settimana, c’è il ritorno via Lisbona: basta il green pass, un paio di moduletti online e 31 euro.

Fino a poco fa, per me Capo Verde voleva dire l’isola di Sao Vicente, dove si trovava l’unico campo a 18 buche (desert, quindi niente erba e green in sabbia e petrolio). Ad inizio anno hanno aperto un nuovo campo nell’isola di Sal, un arido triangolo di 30 chilometri per 12, dove non piove quasi mai (160 mm/anno di cui 34 nel primo semestre). Una sola la particolarità:  essere in erba!

A Capo Verde c’è un italiano che…


Sono più di vent’anni che il visionario italiano Giannino Mariani, ora coadiuvato dalla figlia Paola e dal genero Camilo (dal nome si ravvisano le origini argentine) ha in mente un campo di golf. Solo tre anni fa ha potuto iniziare i lavori e creare un luogo unico dove avviare nove buche, con l’idea di spingersi a 27.

Il campo è un’oasi, in un paesaggio semidesertico. C’è un lago artificiale da saltare alla buca 6, circondato da piante autoctone, recuperate dal vicino giardino botanico Pachamama Eko Park Viveiro. Tra queste palme (da cocco, imperiali, da dattero, washingtonia), cactus, agave sisaliana e aloe vera. Il tutto con vista oceano.

capo verde
Il campo a strisce

Ma il vero colpo di genio è triplice. In primis, la scelta del paspalum, una gramigna resistente alla siccità e soprattutto alla salinità dell’acqua di irrigazione. L’acqua è il vero tesoro a Sal. Viene recuperata da impianti di desalinizzazione o da acque reflue.

E poi le modalità di disegnare tutto il campo, come su una tavolozza. Il verde dell’erba, il giallo della sabbia, il rosso-marrone della terra e sassi, alcuni neri come il basalto vulcanico locale, o colorati di rosso in prossimità del lago. Ne esce un caleidoscopio di colori gradevolissimo.

“E adesso? Legno 3 al green o lay up con un ferro 7?”

In ultimo, l’idea di non piantare l’erba in tutto il campo ma solo in alcune zone di gioco. Si segue la logica del “se si gioca bene si sta sempre nel verde, se si va storti, si finisce nel desert e la cosa è un po’ più complicata. Ma non solo: poiché il verde è a strisce orizzontali, si tratta spesso di scegliere il bastone da utilizzare, se tentare di superare due zone desert, o accontentarsi di entrare nella prima dinnanzi. Il tutto ricorda un po’ il principio nicklausiano dei “rischi-benefici”, che ben si può vedere declinato alle Robinie di Somma Lombardo.    

“E’ andata bene con il legno 3…”

Il campo ha un driving range esagerato (figuriamoci, 300 metri). Quindi pitching e putting green, spogliatoi, bar, noleggio trolley, cars e ferri (una ventina di sacche, anche in grafite, con ferri di alta qualità). Io ho giocato con un driver Honma. I prezzi sono europei: 70 euro per nove buche, 100 per diciotto. Carts 25-50, ferri 20-30 euro e trolley da 4 a 7.

Il mio obiettivo, vento permettendo

Ogni buca ha il nome (altra bella idea) di un’isola di Capo Verde (Sao Vicente, Maio, Brava, Sao Nicolau, Sal, Santa Luzia, Santo Antao), della capitale Santiago e del vulcano Fogo.

Il campo misura 2.765 metri dai bianchi, 2.567 dai gialli e 2.220 dai rossi (due par 5, quattro par 4 e tre par 3). Il nemico numero 2 (dopo le zone desert da evitare) è il vento onnipresente. Nel mio caso raggiungeva i 28 Km/h, con raffiche a 45. Per dare un’idea, a Sal arrivano da tutto il mondo per partecipare ai campionati di surf, windsurf e kitesurf, o anche solo per praticare questi sport. 

La buca più panoramica è la 5, con driver verso il lago, con dietro spiaggia di Santa Maria e oceano.

“Driver con vista: erba, terra, laghetto, spiaggia, oceano…”

Il mio obiettivo massimo era di fare cinque par (ossia i par 3 più i par 5). L’ho quasi raggiunto, mancando il par alla buca 8, un par 3 troppo lungo per me (177 metri dai gialli) per prendere il green col primo colpo.

A parte il par alla 9 (par 5, hcp 1) ottenuto con un fortunoso one putt da 15 passi, la buca più interessante è il par 3 della 6 (120 metri quasi tutti sull’acqua). Tiro un ferro 6 che prende un sasso sulla riva del lago, salta in avanti contro il rough in salita antistante il green e rotola indietro, fermandosi a una spanna dai sassi e a un metro dall’acqua…

capo verde
“Ferro 7 corto (e fortunoso) al corto par 3 della 6 sull’acqua”

Decido che so fare meglio, e tiro cinque palline di fila in acqua…

Mi rassegno, e ringraziando il cielo di come è andata con la prima pallina, mi avvio al secondo colpo. Quattro metri di terra con sassolini, altri quattro di rough alto e spesso in salita, prima del green a panettone.

Non mi fido, non avendo con me il mio mitico ferro nove, e decido per il sand che mi trovo in sacca. Per la seconda volta infatti, dopo le Faer Oer, non ho con me la mia attrezzatura e ho tutto a noleggio. Colpetto morbido e la pallina entra in green, rotolando a una spanna dalla bandiera. Par fortunoso, ma non meno gradito.

Alla fine un bel 40 (par 35) su un campo “facile” se si ragiona sui ferri da usare e si sa giocare nel vento.

Quindi una birra e un gradevole colloquio di un’ora e mezza con i due Mariani, galvanizzati dall’avvio del campo e dalle ottime prospettive. Poi il nostro chaffeur Marlino (che consiglio) ci riaccompagna all’Hilton Cabo Verde. L’hotel qui costa una frazione di un’analoga location cinque stelle in Europa.

A Capo Verde dopo il golf c’è…

Il giorno dopo visita alle due bellezze dell’isola (per chi come me non ama sole e spiagge libere). A 25 minuti, verso nord, si trova la Pedra de Lume, nella caldera di un vulcano spento, sotto il livello del mare, che entra naturalmente, alimentando le saline.

La salina Pedra de Lume nella caldera del vulcano

A chi piace, si può nuotare nell’acqua densissima. La concentrazione di sale è 56 volte quella del mare ed è l’ideale per fanghi terapeutici, massaggi esfolianti, ecc.

A quaranta minuti dalle saline (dopo un percorso tortuoso e sterrato) si trova il Blue Eye della Buracona, un buco nella roccia da cui, ad una certa ora, secondo le stagioni, si può vedere una zona illuminata dal sole di un turchese intenso. Per noi erano le 11.30…

Blue Eye alla Burracona

Accanto c’è una piscina naturale sull’oceano. I coraggiosi osano tuffarsi fra un’onda e l’altra. Impagabile lo spettacolo delle onde che si frangono sulle rocce vulcaniche di basalto nero.

Finalmente l’agognata sosta al Lobstar di Santa Maria, forse il miglior ristorante da pesce dell’isola. Qui non si può evitare il Lobster Tasting Experience. Antipasto a base di aragosta, risotto con aragosta, aragosta alla griglia, gelato. Il tutto accompagnato da un Prosecco di Treviso doc.

Nella sosta di ritorno a Lisbona, assolutamente da visitare il chiosco della Confeitaria Nacional, dove fare abbondanti scorte di pastéis de nata, un canestrino di pasta frolla con l’interno di crema pasticcera.

Blue Eye alla Burracona


Abbondanti sì, ma l’orizzonte temporale per il consumo è al massimo di 48 ore: quindi, coraggio!

Il paradiso delle aragoste…

Notizia di contorno: sono a 159 nazioni in cui ho giocato a golf (-26)…