Un po’ bardato in stile bandito da Far West e un po’ come al primo giorno di scuola con i compagni dopo le vacanze estive. Il mio primo giro al golf in pandemia è stato così. Indimenticabile per tanti motivi.
Sabato pomeriggio per novanta minuti coronavirus, indice R con zero e ammutinati dei Navigli sono finiti in un qualche bunker della mia mente. Mezzo cestello in campo pratica e cinque buche in allegra compagnia hanno rappresentato una boccata d’aria nuova.
Mi è sembrato una specie di “dove eravamo rimasti”, la frase che disse Enzo Tortora quando tornò a condurre in Rai dopo il suo tunnel giudiziario. La Lombardia non è per nulla fuori dal suo tunnel (a quello sanitario seguiranno quello politico e quello giudiziario) ma giocare a golf è stata una boccata d’ossigeno. In verità di ossigeno con la mascherina addosso sembra arrivarne di meno al cervello e il gioco ne risente.
Indossare la mascherina è scomodo ma non si può farne a meno. Quella protezione non è l’unico filo rosso che unisce il primo giro al golf e coronavirus. Il fatto di vedere postazioni in campo pratica ben separate l’una dall’altra fa capire che il golf non è più quello di prima. Gel disinfettante ovunque e niente assembramenti completano il quadro. Il protocollo di Federgolf va rispettato, non c’è ombra di dubbio.
Quante frasi che non ho detto
E che il golf è cambiato lo capisco dalla buca numero 1 quando, una volta rimediato al primo rattone-dell’epoca-del-Covid riesco a imbucare (non posso rivelare in quanti colpi, la privacy e il pudore me lo impediscono) e mi viene naturale infilare la mano nella buca e recuperare la One Tour Special.
Il campanello d’allarme esce dal bunker della mente e mi ferma in tempo. Un colpetto col putter al meccanismo in plastica applicato sull’asta e la paura va giù: la pallina magicamente rotola fuori.
I campanelli d’allarme non finiscono: quante volte mi capiterà di chiedere vuoi l’asta dentro o fuori? piuttosto che dire ti custodisco io la bandiera? Tante. Altrettante saranno le volte in cui, inciampando nella raminga pallina di un compagno di flight, la domanda sorgerà spontanea: te la raccolgo io? Non sia mai. E peggio ancora il monologo mentale davanti a una pallina in cerca di proprietario: la raccolgo, non la raccolgo, sarà di quel tizio, sarà di questo tizio…
Morale della favola: senza gare (li avverrà il vero test fra score, giocatori sconosciuti da tenere a distanza e agonismo) il golf in pandemia non è facile per niente. Ma sempre meglio che niente. (s.l.)
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https://golfando.tgcom24.it/2020/02/10/riparare-i-pitch-mark/
Francamente ho avuto sensazioni abbastanza differenti giocando le mie prime 18 buche. A parte la mascherina nei luoghi comuni (anche all’aperto) e l’assenza dei rastrelli dai bunker, trovo che il golf sia lo sport che meno possa risentire delle nuove regole post covid. In campo non e’ necessaria la mascherina (e non e’ nel protocollo FIG) e il gioco puo’ svolgersi sostanzialmente come prima. Anche quando ci saranno le gare, con un minimo di precauzioni scambiarsi lo score non sara’ certamente un problema. Unico vero problema: la difficolta’ di farsi una birretta in compagnia alla buca 19!!
Indossare la mascherina è scomodo, ma non si può farne a meno? E perché, di grazia. Mantenendo un ragionevole distanziamento sociale (direi almeno 2 metri) la mascherina non è obbligatoria, soprattutto all’aria aperta.
Il covid19 non rimane sospeso in aria, ad oggi non c’è uno studio o una simulazione che possa suffragare tale teoria. Quindi per quale bizzarro motivo si dovrebbe tenere la mascherina in campo, se non per mero masochismo?
Tra l’altro se l’autore del racconto è il signore in foto, lo informo che la mascherina se non copre il naso è ancora meno utile del normale. Ma si sa, con la disinformazione che circola in Italia, non mi stupisco di certo. Piuttosto…riparati i pitch mark?
State discutendo, di grazia, da ore di una mascherina indossata in un campo da golf dopo due mesi passati da tutti a fare il conto alla rovescia di quanto si tornava a giocare. La mascherina si indossa perché è scritto nell’ordinanza della Regione Lombardia. E’ una regola: fa strano che proprio i golfisti risultino allergici alle regole in uno sport dove il loro rispetto è tutto. Il “signore in foto” si chiama Sauro Legramandi, è il sottoscritto ed è l’autore del racconto (che volendo essere precisi, gentile Igor, si chiama “articolo” o eventualmente “post”). E’ proprio vero che quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.