Golf in Angola: storia, fairway e Belvedere della Luna

Si chiude con questa puntata il racconto dell’Africa golfistica di Pier Paolo Vallegra*. Giocare a golf in Angola sembra bello e interessante.

“L’Angola è la quarta tappa del mio viaggio e la sua storia non è dissimile da quella dei due Congo. In epoca precoloniale erano presenti due regni, Kongo (dal Gabon al nord) e Ndongo (a sud del fiume Kwanza).

di Pier Paolo Vallegra

Per primi arrivarono i portoghesi che ne ebbero però il controllo solo all’inizio del ‘900, dovendo affrontare l’ostilità degli olandesi, della regina dell’Angola indigena Nzinga Mbandi e dei re del Congo.

Per secoli l’Angola fu il principale centro di rifornimento della tratta degli schiavi destinati alle piantagioni di Sao Tomé-Principe, del Brasile e dell’America. Si dovette aspettare la morte di Salazar e il golpe in Portogallo del 1974 per ottenere l’indipendenza l’anno successivo, in piena guerra civile.


Due presidenti e la donna più ricca dell’Africa

Il primo presidente fu Agostinho Neto, di ispirazione filo-sovietica, che combatté fino alla morte (avvenuta quattro anni dopo a Mosca) contro le fazioni supportate da Sudafrica e Usa.

Seguì come presidente il suo delfino Dos Santos, che durò ben 38 anni, oltre la metà dei quali passati combattendo contro le formazioni filo-occidentali. Dos Santos vinse tutte le elezioni, anche se furono sempre precedute e seguite da accuse di brogli. Fu accusato di essere a capo di un regime corrotto. Un esempio? La figlia Isabel, a capo della compagnia petrolifera nazionale, fu considerata dalla rivista Forbes, la donna più ricca dell’Angola e dell’intera Africa, con un patrimonio stimato superiore ai tre miliardi di dollari… 

Col disfacimento dell’Urss e il ritiro dei soldati cubani, Dos Santos assunse posizioni più “liberali” e filo-americane, spiazzando il campo militare avversario.

La guerra civile scemò, anche se movimenti guerriglieri sono ancor oggi presenti nella regione del Cabinda, una enclave sull’Atlantico, che confina con i due Congo ma non con l’Angola. Nel 2017 gli successe un suo uomo, il generale Lourenço.

Angola, Paese problematico

La Baia di Luanda vista dalla Fortaleza de Sao Miguel

Oggi l’Angola è un Paese problematico, con Luanda città moderna e quasi occidentale (almeno in centro e sul lungomare), con un traffico normale, bar e ristoranti aperti e ben frequentati. Ci siamo fermati più volte in un bel bar/barbecue sul lungomare a sorseggiare una capirinha che, come in tutti i Paesi “portoghesi”, sanno fare divinamente. Hanno usato una cachaça angolana, che reputo addirittura superiore alle migliori brasiliane.

Di contro, come riportano tutti i siti governativi, a cominciare da Viaggiare Sicuri della Farnesina, le condizioni di povertà e l’alto tasso di disoccupazione hanno portato a un forte aumento della criminalità, specialmente a Luanda.

Imprevisto ascensore in hotel

Arriviamo in hotel all’una di notte, con la navetta gratuita. E’ un piccolo albergo sul lungomare, che costa un quinto dell’Hilton di Kinshasa e è senza ascensore. Dobbiamo rinunciare alla bella camera prenotata al terzo piano, con scale improponibili per il mio caddie. Ci accontentiamo di una sistemazione più modesta al primo piano, che il giorno dopo ci cambiano con qualcosa a metà strada…

Colazione all’unico tavolone a fianco della minuscola reception, in linea con le attese: caffè della macchinetta, latte freddo a richiesta, fette biscottate industriali, panini freschi, yoghurt non pervenuto, monodose di confettura a richiesta, un po’ di frutta fresca.

Ci accordiamo per affittare l’auto dell’hotel per qualche ora per visitare Luanda in una domenica di sole e vento, 32 gradi, con pioggerellina a tratti, alla modica cifra di venti dollari. Prima di uscire dobbiamo prenotare il pranzo, che arriva da fuori…

Dal padre della patria ai giorni nostri

Prima visita al Mausoleo di Agostinho Neto, il padre della patria, primo presidente della Repubblica angolana.

Il Mausoleo domina la città col suo altissimo obelisco a forma di nave spaziale sulla rampa di lancio, di stile sovietico anni ‘80, frammisto con elementi scultorei angolani. All’interno non sono ammesse foto: io, come sempre (tranne l’eccezione della Dama dell’ermellino di Cracovia), a queste condizioni non entro.

La statua di Neto

Comunque mi piace la statua di Neto mentre alza la bandiera, aiutato da un giovane che gli regge la corda. E’ situata nei giardini circostanti il Mausoleo vero e proprio, all’esterno di un colonnato con alcune pitture allegoriche (madri che sollevano neonati sullo sfondo del sole, braccia con catene che si spezzano, ecc).

Siamo quindi andati alla vicina Nossa Senhora dos Rémedios, antica chiesa coloniale, costruita nel XVII secolo e per qualche tempo cattedrale di Luanda. Essendo domenica si possono ammirare i coristi (soprattutto donne) che stazionano fuori dalla chiesa. Tutti con i loro costumi fra il turchese e il violetto (a seconda dell’uso e dei lavaggi), con la scritta sul retro Nossa Senhora dos Rémedios come in una squadra di basket.

La mano di Eiffel in Angola

Palacio de Ferro

A pochi minuti troviamo il Palacio de Ferro, con la sua storia curiosa. Costruito nell’atelier di Gustave Eiffel (quello dell’omonima Tour e della Statua della Libertà) fu trasportato da una nave francese verso il Madagascar ma la nave affondò al largo della costa angolana. In base al diritto navale, con tutto il suo contenuto, fu confiscata.

Il Palacio de Ferro fu rimontato, e viene utilizzato per visite, concerti e conferenze.

In pochi minuti arriviamo alla Fortaleza de Sao Miguel. Costruita nel 1576, fu per molto tempo il maggior centro di smistamento degli schiavi diretti in Brasile. Restaurata più volte nel corso dei secoli, si presenta tutta linda e graziosa, senza un mattoncino fuori posto, tanto da apparire quasi stucchevole. Alcuni cannoni guardano ancora sulla bella baia di Luanda.

La Madre dell’Angola

Molto interessante all’entrata, oltre al busto dell’onnipresente Neto, la statua scalza della grande regina Nzinga di Ndongo e Matamba. La donna viene raffigurata con un vestito indigeno con un’ascia nella mano destra. Vissuta a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, la regina è morta a 80 anni, governando per ben 37 su due regni, senza marito e senza prole (cosa accaduta al mondo, credo, solo a Cristina di Svezia e Elisabetta I d’Inghilterra).

Durante la sua vita negoziò ma soprattutto combatté contro i portoghesi, riuscendo a evitare che il popolo angolano divenisse schiavo, come quasi tutti i diversi popoli dell’Africa sud occidentale.

E’ ricordata come la Madre dell’Angola, grande negoziatrice, stratega militare nonché protettrice del suo popolo. Nel secolo successivo alla sua morte, vi furono solo regine per quasi ottantanni. Nzinga è divenuta un simbolo e un modello di leadership per tutte le donne angolane.

Oggi le donne in Angola mostrano una singolare indipendenza sociale, sconosciuta in quasi tutti gli altri Paesi africani: sono nella polizia, nell’esercito, nel governo e nei settori economici pubblici e privati.  


Il Museo di storia naturale

In ultimo, passiamo al Museo di Storia Naturale. L’autista mi dice che è quasi sempre chiuso, oltre al fatto che è domenica. Nei paraggi, troviamo un anziano con la chiave del museo. Gli offro mille kwanza (poco meno di un euro) per farci entrare. Accetta. Ho solo un biglietto da duemila: lui, in un primo momento rifiuta, dicendo che è troppo…

All’interno il piano terra è dedicato al mare e al cielo, per cui passiamo a fianco di nicchie con uccelli locali e pesci (bellissimo lo scheletro fossile di una balena, quasi intero). Ciò che più attira la mia attenzione è una zona definita concha e filatelia, dove sono esposte conchiglie, nella stessa posizione in cui sono rappresentate da dei francobolli.

Evitiamo di salire al piano superiore dove ci sono i mammiferi, evitando di arrampicarci su scale buie e insicure.

Arriva il giorno del golf in Angola

Partenza alle ore 8 per il campo da golf Mangais, a 82 chilometri dall’hotel, che raggiungiamo concordando cento dollari per andata e ritorno con un autista presentatoci da un receptionist.

Un’ora e mezza di viaggio per giocare a golf in Angola, tutto lungo la costa dell’oceano, con una strada meno disastrata delle attese. Due giorni prima il signor Louro, general manager dell’hotel, mi aveva avvisato che le forti piogge avevano fatto debordare il fiume Kwanza, con acque che avevano trascinato con sé coccodrilli e grandi varani, oltre a bellissimi granchi blu (con tanto di foto).

Per fortuna il Kwanza è rientrato e il caddie Pedro ci ha assicurato che non troveremo in giro animali feroci. Fiduciosi, partiamo dalla buca 1, scegliendo i tee rinoceronte, i più corti per gli uomini (tigre, crocodilo e palanca corrispondono ai neri, bianchi e gialli) mentre per le signore ci sono zebra e garça.

Il golf dal “rinoceronte”

I rinoceronte misurano 5.819 metri, par 72, quattro par 3 e altrettanti par 5. Il percorso è lussureggiante, con grandi palme nel fairway e acqua in oltre metà delle buche. E’ proprio un bel percorso. Non è facile mantenere la concentrazione guardando la meraviglia in cui si è immersi.

La buca 1 è un par 5 di 443 metri, con acqua a sinistra e laghetto a destra molto più in là della gittata del mio driver. Io lo punto ma resto un po’ troppo a sinistra, disturbato da una serie di palme che mi impediscono un tiro libero verso il green.

Faccio un corto lay-up e tiro il terzo verso il lontanissimo green. Col ferro 8 piazzo il quarto in green, ma mi rendo conto (Pedro mi aveva avvertito) che i green sono lentissimi. Resto corto col putt e fatico ad imbucare da due metri per il bogey.

Autista in pausa e caddie in servizio durante il giro di golf in Angola

La buca due è un par 4 corto (poco più di 300 metri), con piccolo dogleg a destra. Ci sono due bunker a sinistra e tiro verso il più lontano, fermandomi 15 metri prima. Provo il legno 3 a volare il bunkerone che difende il green centralmente, ma non riesco. Esco però benissimo, con un sand a un metro dalla buca: primo par di giornata.

La tre è un altro par 4 di 334 metri, quasi dritta, due bunker a difesa del green a destra. Driver non male ma il green è oltre la gittata del mio legno 3. Quindi faccio un lay-up e arrivo in green col terzo: due putt, bogey.

Il primo par di giornata

Il primo par 3 tanto atteso è lunghissimo (addirittura 233 metri dai tigre). Il vero pericolo è il grosso e profondo bunker a destra del green e la sponda anteriore in discesa. Dal punto di vista scenografico, c’è un enorme baobab che troneggia dietro il green. Ferro 7 a 50 metri dalla bandiera, sand preciso a un metro dalla buca, in piano: par.


La cinque è il secondo e ultimo par 5 delle prime nove: 424 metri, col disegno della 18 di Necochea (Argentina), uno dei rari doppi dogleg, che mi fanno impazzire (in positivo).

Tutta la buca corre lungo le mangrovie del fiume Kwanza, a non meno di 190 metri dal mio tee a sinistra. Colpisco il driver tranquillo, direzione acqua e gestisco il secondo per farlo atterrare davanti ai quattro bunker e all’enorme mango prima del secondo dogleg a sinistra.

Mi trovo ora a 130 metri dal green, senza la possibilità di saltare un angolo del fiume se voglio prendere il green col terzo. Il legno 3 (bastava il 7) vola tutta l’acqua, tocca il green ma non si ferma: finisce in uno dei due bunker dietro il green. L’uscita non è complicata ma pericolosa perché se si va lunghi si finisce in acqua. Quindi il problema è che, dando il subconscio questo messaggio al cervello, si finisce per fare un tiro corto, se non addirittura di restare in bunker.

Cerco di contemperare le due cose. La palla esce un po’ forte ma colpisce la bandiera e si ferma a un metro dalla buca: par.

Dalla buca 6 alla buca 9

La sei è un par 4 con hcp 18. Sono 311 metri diritti, con acqua decisamente dentro nel fairway e grande bunker a croce latina davanti al green.

Dopo un buon driver, il legno 3 prende in pieno il bunker ancora bagnato dalla pioggia dei giorni precedenti. Sottovaluto la cosa e la palla mi esce debole, raggiungendo appena l’avant green… Approccio col ferro 9 e putt: bogey (occasione persa).

La sette è un lungo par 4 (372 metri per me, 423 per i tigre), con tee rialzati da cui si può ammirare la palude che circonda i contorni della buca, con acqua a destra (non in gioco) e a sinistra, fin quasi al green.

In centro fairway un bunker minaccioso a 50 metri dalla bandiera e quattro bunker a difesa del green. Malgrado ciò non ho avuto problemi: driver a centro buca, legno 3 cinquanta metri davanti al bunker centrale, ferro 8 in centro green e due putt verso la bandiera posta dietro a sinistra.

La 8 è un par 3 ancora più lungo di quello della 4 (253 dai tigre, 186 per me), il primo tiro è quasi tutto sull‘acqua… Seguo lo stesso schema di gioco della 4, cambiando il ferro 7 con il legno 7 e il sand con il wedge. Risultato quasi identico: palla a due metri dalla buca, putt: par.

La buca nove è un par 4 lungo (374 metri), con una zona paludosa a destra e un rough alto e duro a sinistra (quello che gli inglesi chiamano wild meadow). Acqua a destra e sinistra, grande bunker a destra a 150 metri dal green, con contorno di mounds.. Pedro ridacchia: “Breathless golf!” Addirittura!

Il fairway è largo e il bunker di destra è lontano: so la direzione… Legno 3 verso l’unico bunker a difesa del green a destra. Ho un green aperto per un 9 che arriva a tre metri dalla bandiera. E poiché la fortuna aiuta gli audaci, infilo un par in centro buca per il quinto par, senza doppi bogey! 40!!!

E’ mezzogiorno, e decidiamo di continuare senza fermarci per uno spuntino.

Senza sosta il golf in Angola

La dieci è un par 4 medio (356 metri) con un lungo bunker a 120 metri dal green e due grandi bunker a difesa a destra e sinistra. Tiro il driver in direzione del primo ma il legno 3 sul secondo tiro è troppo a destra e non riesce a superare lo stesso bunker. Un’ingenuità, con tutta la buca che avevo a sinistra…

Una foto del campo di Mangais e dei suoi… abitanti

Esco e tiro il quarto contro il mound che occupa tutto l’inizio del green a destra, vedendo la pallina rotolare all’indietro. Da fuori tiro un 9 a correre verso una buca a 25 metri, dovendo superare il mound con un tiro tipo mini-golf… Ci riesco e salvo il doppio bogey con un putt da due metri in discesa…

La undici è un par 3 difficile in quanto i 140 metri sono tutti sull’acqua (se vuoi evitarlo tirando a sinistra, trovi un bunker a difesa; se vuoi tirare un po’ più forte per sicurezza, ci sono due bunker dietro il green). E’ facile per chi sa che i 140 metri sono la distanza giusta per il suo legno 3…

Con una leggera apprensione (qui puoi fare birdie o triplo bogey) piazzo la palla a inizio green, a tre metri dalla bandiera. Sbordo il putt per il birdie di un niente: par.

Segue un doppio bogey al par 5 della 12 (dove sono finito in acqua col driver) e un bel par alla 13 (par 4).

Dopo quattro bogey anonimi dalla 14 alla 17, il pessimo doppio bogey al facile par 4 della 18, corta (307 metri), bunker tutti ai lati della buca e quattro bunker a difesa, tutti dietro il green. Ma ho rimosso il come… (meglio così!). Totale 40+46 = 86

Risultato molto soddisfacente, anche se avrei preferito 43 + 43…

E dopo il golf…

Finiamo alle 14,20 e, visto che il ristorante del club è chiuso, lo chaffeur ci accompagna al Kwanza Lodge. E’ su una strada orribile, per fortuna il locale è distante appena cinque chilometri.

Ci mostrano un barracuda sul metro e mezzo appena pescato. Ci propongono di farcelo al momento: 50 minuti e ce lo troviamo grigliato a tocchetti, con un enorme vassoio di verdura, accompagnato da una serie di Cuca, l’ottima birra locale…

Riportiamo Pedro alla clubhouse e prendiamo la via del ritorno. Solo dopo diversi chilometri mi rendo conto di non averlo pagato… Mah, probabilmente si sarà sentito appagato dal pranzo! Chi può dirlo?

Il belvedere della luna

A tredici chilometri dal campo ci fermiamo in una meraviglia della natura, il Miradouro da Lua, che potrei tradurre con “il belvedere della luna”, falesie erose da millenni di pioggia e vento, che creano un paesaggio lunare, circondate da ampie zone verdi lussureggianti e con lo sfondo dell’Oceano Atlantico.

L’autista deve richiamarci un paio di volte, per costringerci ad abbandonare una vista che, siamo consci, resterà unica nei nostri occhi. La ricorderemo a lungo, dopo averla vissuta solo per una ventina di minuti…

Più vicini a Luanda, ci fermiamo al Museu Nacional da Escravatura ossia il museo della schiavitù. L’esposizione è adiacente alla Capela da Casa Grande, dove gli schiavi venivano battezzati prima di essere imbarcati sulle navi negriere verso il continente americano.

Lo vediamo dall’esterno (lunedì è chiuso) e visitiamo il vicino mercato dell’artigianato, ricco di numerose tiendas dove si possono acquistare un’enorme quantità di souvenir, soprattutto in legno, prodotti da artigiani locali (con qualche eccezione made in China…).

I saluti

Rientrando che ormai è notte, ma non ci perdiamo l’usuale sosta al bar/barbecue sulla spiaggia vicino all’hotel, per un’ultima capirinha.

Il mattino seguente prendiamo un volo TAP per Lisbona, dove nella sosta, facciamo una gran scorta di pasteles de nata, dolce tipico lusitano, un must to buy (and eat) quando si passa per l’aeroporto portoghese. Il volo successivo ci riporta a Malpensa.

Cosa manca? Haiti, Turkmenistan, Nord Corea e Niue. Siamo a – 4 !!!


*Pier Paolo Vallegra è un golfista italiano con un sogno ormai quasi realizzato: giocare una volta in tutte le nazioni del mondo con almeno un campo da golf a nove buche lungo mille metri.

I suoi diari di viaggio sono raccolti in questo link