Dopo tante parole e promesse la prima infornata di petrodollari nel golf è arrivata. La Liv Golf Investments, società con il saudita Public Investment Fund come azionista di maggioranza, ha annunciato di aver investito 200 milioni di euro sull’Asian Tour.
Nel mondo del calcio, il Public Investment Fund, ossia il fondo d’investimento sovrano dell’Arabia Saudita, ha di recente acquisito la società professionistica del Newcastle. Il team inglese, nel dettaglio, è passato dall’imprenditore Mike Ashley per circa 300 milioni di sterline ad una compagine azionaria che vede appunto il PIF proprietario dell’80%. In passato il PIF è stato accostato anche all’Inter.
Uomo-immagine (e forse macchina) della Liv è Greg Norman, nominato ceo del gruppo. Miglior giocatore dal 1986 al 1997, nella World Golf Hall of Fame dal 2001, Norman lo squalo bianco in carriera ha vinto 91 titoli.
Ora l’australiano guida quella che si annuncia come una rivoluzione del green, con una nuova lega che punta a mettere i bastoni tra le ruote al PGA Tour e all’European Tour. Le due potenze rappresentano lo status quo e minacciano la linea dura con tutti quei giocatori che decideranno di avere a che fare con Liv e dintorni.
Greg Norman: portiamo il golf nei mercati emergenti
“Questo è solo l’inizio – ha detto l’australiano, ex numero 1 al mondo -. Il gruppo che rappresento è pronto a creare nuove opportunità per sviluppare il golf in tutto il mondo”. Il primo torneo che la nascente lega sosterrà è il Saudi International in programma dal 3 al 6 febbraio al Royal Greens Golf and Country Club di King Abdullah Economic City.
Sul breve periodo si punta a organizzare una decina di gare sull’Asian Tour nel 2022. “Sono stato un convinto sostenitore dello sviluppo del golf in Asia da più di quattro decenni – ha spiegato il ceo di Liv -. L’Asian Tour è come un gigante addormentato. Vogliamo far diventare grande un mondo con un impatto notevole e non ancora sfruttato. Ripeto: si tratta di un primo passo nel supportare i mercati emergenti, creando una nuova piattaforma di golf”.
Nel board dell’organizzazione ci sarebbe, oltre a Norman, anche Ron Cross, ex vice commissioner del PGA Tour.
Il golf per rifarsi l’immagine
L’enormità di dollari in arrivo può essere vista sotto molteplici chiavi di lettura. Una di queste porta dritta all’ennesimo caso di sportwashing. Di cosa si parla? Si tratta di un termine molto meno ostico di quello che possa sembrare: con sportwashing si indica l’intenzione di usare lo sport per ripulirsi l’immagine da qualche macchia.
E l’Arabia Saudita, per usare un eufemismo, qualche macchia legata al mancato rispetto dei diritti umani ce l’ha. Non ne ha dubbi Sacha Deshmukh, numero uno di Amnesty International: “Non è un caso che l’Arabia abbia scoperto lo sport – da match di boxe, dal calcio al golf – in un momento in cui i difensori dei diritti umani sauditi sono stati incarcerati. E senza citare il caso di Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istabul”.
Dello sport come propaganda o come arma di distrazione di massa o come possibilità di ripulirsi ne è piena la storia. “E’ vero – prosegue Deshmukh – che lo sportwashing non è stato inventato dagli arabi ma mai nessuno come Mohammed bin Salman ha puntato tanto sullo sport per rifarsi un’immagine e distogliere l’attenzione dal diffuso mancato rispetto di diritti umani. I golfisti tentati da queste gare dovrebbero prendersi del tempo per considerare le dinamiche del sportwashing e per pensare come rompere questo meccanismo”.
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