Golf nel Sahel: 18 buche fra mitra, sabbia e (tre) caddie ad Ouagadougou

Prosegue il viaggio nei percorsi più disparati: oggi Pier Paolo Vallegra racconta la sua esperienza di golf in Sahel (Burkina Faso). Si parte dai mitra Ak 47 puntati addosso e si finisce al Museo Etnografico. In mezzo 18 buche al Ouagadougou Golf Club dove è obbligatorio avere tre caddies.

Golf nel Sahel

di Pier Paolo Vallegra

Sahel significa “a bordo del deserto” e rappresenta una lunga fascia subsahariana che attraversa longitudinalmente l’Africa, dal Senegal all’Eritrea. Ricordando la famosa domanda di Vittorio Feltri ( “Chi è quel cog….ne che va in Burkina Faso?”) non ho potuto fare a meno di inserire nel mio ultimo viaggio africano Ouagadougou, capitale e sede dell’unico campo da golf in quel Paese.

 

Atterriamo da Accra con Air Burkina, in una afosa serata di fine gennaio. Impeccabile il pick-up dell’hotel e dopo quindici minuti arriviamo a Villa Kaya, piccolo gioiello con tre camere e un eccezionale ristorante.

 

A Ouagadougou con l’AK 47 spianato

Le misure di sicurezza sono rigorose. E’ ancora fresco il ricordo dell’attacco al ristorante Cappuccino e all’hotel Splendid di quattro anni prima da parte di AQUIM (Al Qaeda nel Maghreb islamico) con trenta morti di undici nazioni (fra cui un bambino italiano) e centinaia di feriti.

Si parcheggia il furgone lungo il muro di recinzione, accanto alla porta blindata, si entra in uno stanzino, si chiude la porta e un bodyguard ci perquisisce. Un altro ci controlla con un AK 47 spianato.

Si apre quindi l’altra porta blindata, ed entriamo nel cortile dove ci accoglie un altro membro della security, seduto con in grembo un altro AK 47.

Subito può sembrare surreale, ma in poco tempo ci si fa l’abitudine. La cena avviene in cortile, adiacente alle camere. Vi partecipano una trentina di persone.

La cena

Piatti squisiti: assiette di jamon iberico, tagliatelle con crema di mascarpone, prosciutto e piselli deliziose, blanquette de veau magnifica. Il tutto accompagnato da una ricchissima collezione di birre corse e belghe, alcune difficili da trovare anche a Milano. E per concludere mi viene offerta una pavlova!

Mai avrei pensato di gustare una pavlova burkinabè! Soprattutto di averne il coraggio, in un posto in cui è raccomandato usare solo acqua minerale per bere, ma anche per lavarsi i denti… Ma l’ambiente era così tranquillizzante, che non mi sono neppure posto il problema… La pavlova è una torta dedicata alla ballerina Anna Pavlova, creata durante un suo tour in Oceania. In quel dolce ci sono albumi, panna fresca, frutta, cremor tartaro (non il comune lievito di birra)….tutto perfetto!

Il mattino seguente, dopo una colazione varia ed abbondante, preparata al momento, ci viene assegnato Hervé, chauffeur tuttofare, che ci accompagna all’Ouagadougou Golf Course, a mezz’ora d’auto.

 

Tre caddies per un solo giro

La clubhouse è una stanzetta chiusa (occorre attendere venti minuti prima di incrociare il boss) in cui pago il green fee (10.000 CFA, circa 15 euro) e mi vengono assegnati tre caddies, ognuno con un compito specifico.

In certi Paesi devono lavorare tutti, anche guadagnando poco, il che comunque assicura loro il pane quotidiano. Un’abitudine che ricorda un po’ l’Unione Sovietica stalinista. Il costo dei caddies è di 4.000 CFA, non capisco se singolo o cumulativo…poco importa, darò loro 10 euro a testa.

Il primo caddie è il porteur della sacca.

Golf nel Sahel

Il primo caddie

 

Il secondo caddie corre dietro la pallina, la individua e la pone sopra l’astroturf, una striscia di moquette verde (circa 30×60 cm). Infatti il campo è di tipo desert e se non ci fosse la moquette, si tirerebbe ogni colpo come si fosse in bunker… E ricordiamo che i macchinari per la manutenzione del campo sono un po’ diversi da quelli a cui siamo abituati!

Golf nel Sahel

Il secondo caddie sta per entrare in azione

 

Il terzo caddie porta con sé uno scopettone che ha due usi: viene piantato nella buca in funzione di bandiera, e serve per “scopare” il green a fine buca.

La funzione del terzo caddie golf nel sahel

La funzione del terzo caddie

 

Il green, infatti è di tipo brown, cioè costruito con una mistura di 400 kg di sabbia e 25 litri di petrolio. Ovviamente ogni volta che ci si passa sopra si lasciano impronte più o meno profonde. Il campo è per forza anonimo, disseminato di sabbia e pietre che, a volte sviano una bella palla o “aggiustano” una direzione approssimativa.
Golf nel Sahel

 

Le buche che ricordo: la 6 e la 14

La prima per un fenomeno stranissimo, documentato dalla foto, che certifica il giro a sinistra della pallina, per entrare in buca. Fatto del tutto incomprensibile, visto che i green brown non hanno pendenze e non c’era un filo di vento (36/38 gradi all’ombra, ammesso di trovarne…).

La seconda in quanto l’unica ad avere un vero ostacolo d’acqua. Par 3 con laghetto dal tee al green (sopraelevato e minuscolo). Mancato per un metro, la pallina è scivolata verso l’acqua, fermandosi ai bordi. Piccolo approccio col sand, palla a due metri, putt.

Alla fine, dopo tre litri d’acqua in due, abbiamo contato 88 colpi (44/44) con sei par e quattro doppi bogey.

 

La pallina, non disponibile in loco, è stata costruita con quella utilizzata per il giro, e il logo cartaceo recuperato in clubhouse.

 

Il giorno da turisti

Il giorno dopo il golf in Sahel è dedicato alla scoperta di Ouagadougou. Scortati da Hervé, messoci a disposizione dal general manager Parfait (nomen omen), abbiamo visitato il villaggio artigianale, visto la statua del Leone, in onore al gemellaggio con Lione.

Poi la spoglia cattedrale di mattoni rossi, la moschea con due bassi minareti e una struttura che assomiglia ad un parcheggio multipiano. E quindi il gran marché: veramente enorme, attraversato da carretti trainati da asinelli, motorini e biciclette “da soma”, dov’è facile perdersi in un dedalo di bancarelle e passaggi strettissimi e affollati.

Gli unici due luoghi che merita vedere sono la Maison du peuple e il Musée National.

La prima è un’enorme e un tempo bellissima costruzione che poteva contenere tremila persone, con ristoranti, bar, un luogo per concerti, eventi… Ora è abbandonata, fatiscente, un vero e proprio monumento alla stupidità umana. Qualche mese fa il comune di Ouaga ha annunciato tramite un messaggio Facebook (tutto il mondo è paese…) un investimento di 11 miliardi di CFA per la sua réhabilitation. Pochi ci credono…
 

L’unica vera attrazione di Ouaga è il Musée National, etnografico, in cui esiste una bellissima esposizione di maschere cerimoniali, la cui particolarità è che si indossano in base all’evento cui partecipano.
Lasciamo Ouagadougou con un’immagine ben diversa di quando siamo arrivati. Al di là del famoso sorriso e gentilezza degli abitanti, allo sfascio, sporcizia ed abbandono del “pubblico” , si contrappone un “privato”, rappresentato da hotel, ristoranti, guide, negozi (in genere i servizi) efficiente e di livello inaspettato, rispetto al contesto.


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4 risposte a “Golf nel Sahel: 18 buche fra mitra, sabbia e (tre) caddie ad Ouagadougou

  1. Questo viaggio è del gennaio 2020 oppure 2021? Nel secondo caso esprimo la mia più grande perplessità….. Nel primo caso assolutamente no. Un saluto

    • Ciao Corrado, era il 2020. Ieri ho giocato a Castelconturbia, ma fino a febbraio siamo di nuovo in arancione…spero di vaccinarmi in primavera per volare a luglio alla mia prossima destinazione golfistica: Nuuk.

  2. anzichè di criticare il Burkina Faso per il campo da golf guardati attorno e cerca di scoprire quello che il popolo burkinabè ha da offrire! Burkina Faso vuol dire “terra degli uomini integri”… vai a leggere un po’ della storia passata di quel Paese e pensaci….
    Ovvio che, finchè gli occidentali approfittano dei Paesi meno fortunati in memoria di un’antica colonizzazione……
    Donatella

    • Cara Donatella, lo spazio dell’articolo non mi ha permesso di parlare della principessa guerriera Yennanga, madre del primo Mossi, né del Mogho Naaba o dei 4 valori culturali fondanti del popolo Mossi, ammesso che tu sappia di cosa sto parlando…ho descritto il campo “desert” tipico di molti paesi africani, e le sue metodologie di gioco… la “storia” inizia con la scrittura ((come da libro di testo di terza elementare) e il popolo Mossi purtroppo non ci ha lasciato niente di scritto, a differenza degli egizi, per cui la storia del Burkina Faso inizia con la colonizzazione francese. Ed è singolare che tu pensi che visitare un paese povero ed arretrato come il Burkina Faso, portando un po’ di valuta, facendo lavorare taxisti, camerieri, caddies, guide, che così possono guadagnarsi da vivere nel paese dove sono nati, evitando la triste sorte dei tanti che si devono spostare verso nord, attraversando il Sahara e sperando in un barcone libico, sia “approfittare” di loro. Ed infine il riferimento alla colonizzazione è del tutto incomprensibile! Guarda che esiste il Ministero del Turismo del Burkina Faso ed un loro ufficio diplomatico a due passi dal duomo di Milano…chiedi a loro se si sentono sfruttati dai turisti!

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