
Con l’arrivo dell’inverno il golfista italiano gioca qualche buca di meno (gelo e brina ogni tanto si ricordano di esistere) e passa più tempo a ragionare sul futuro del Golf. Spesso ciò accade con lo smartphone in mano e altrettanto spesso si preme Invio, condividendo sui social il proprio pensiero.
di Sauro Legramandi
Nel mirino Federgolf e circoli
Il bersaglio nove volte su dieci è la Federazione Italiana Golf. Le sue responsabilità, a leggere e sentire in giro, sono molteplici. In ordine sparso Federgolf “non incentiva la diffusione del nostro sport”, “non punta sul turismo golfistico”, “non costruisce campi pubblici”, “non investe a dovere i proventi della tessera annuale” e via di questo passo. Poi nel mirino ci sono i circoli, accusati di non essere un banco di mutuo soccorso bensì di pensare al bilancio.
Sbarazziamo subito il campo: le critiche ci stanno eccome perché se il Golf non cresce nel nostro Paese la responsabilità è sicuramente condivisa fra tutti gli attori, Federazione e circoli compresi. Le critiche sono quindi legittime.
Appunto perché ritengo personalmente che le responsabilità siano condivise, sorge una domanda marzulliana: noi giocatori di golf ci mettiamo mai in discussione? Noi amateur che sogniamo il Golf come sport di massa ci siamo mai domandati cosa facciamo per il Golf italiano?
Sette risposte dall’Intelligenza artificiale

A tal proposito è stata interpellata anche l’intelligenza artificiale. ChatGpt suddivide le risposte in sette categorie, ognuna con tre punti specifici.
Ecco l’elenco dei sette paragrafi:
1. Ogni giocatore potrebbe portare nuovi giocatori in campo
2. Sostenere i circoli locali
3. Diffondere una cultura golfistica più moderna
4. Sostenere l’agonismo italiano
5. Promuovere l’immagine del golf nella società
6. Supportare percorsi di formazione e sostenibilità
7. Investire nel proprio gioco.
Quanti di voi, arrivati a leggere fino qua, hanno messo in pratica almeno tre dei punti sopra citati?
Mi auguro la maggioranza e spero che me lo scriviate cliccando qua o sui social.
“Mi lamento ma mi iscrivo al tesserificio”
Se così non fosse vengono in mente tantissime situazioni dove si predica bene ma razzola male. Tanti si lamentano delle tariffe del circolo a dieci minuti da casa salvo poi correre ad iscriversi al tesserificio Tua situato in un’altra regione. Pago 140 euro l’anno (tessera federale compresa) a un campo pratica dall’altra parte d’Italia per poi giocare a dieci minuti da casa in un circolo con personale e percorso mantenuti da altri giocatori a 2.000 euro l’anno. Facile no?
“Io pago la quota e io ho diritto a…
Chi si lamenta dell’esiguo numero di praticanti è lo stesso che storce il naso perché il circolo manda in campo qualsiasi neofita “pur di farlo iscrivere”. Apriti cielo se sulle sue 18 buche costui dovesse imbattersi in un team con due handicap 36 “troppo lenti in campo”.
Alzi la mano chi non ha mai mugugnato perché in segreteria gli è stato “cambiato il solito tee time e non mi fanno giocare con i miei amici Tizio, Caio e Sempronio”. Oppure chi, in nome del “io pago la quota e quindi ho diritto”, definisce garificio il suo circolo che insiste nell’organizzare Coppe Fragola al sabato e alla domenica e non al lunedì e al martedì.
Come sapete non finisce certo qua. Noi amateur mastichiamo amaro se sul green la nostra pallina devia traiettoria all’improvviso per un pitchmark mai sistemato. Peccato che, dopo qualche minuto, siamo colpiti da amnesia quando il green è butterato dalla nostra di pallina. Non apriamo nemmeno il discorso divot, con fairway conciati come campi di battaglia…
Il golf sport per i soliti pochi
Abbiamo mai provato a portare davvero un amico o un parente al circolo? Non al bar per un aperitivo o a pranzo in clubhouse bensì in campo pratica, sfruttando la prima lezione gratuita che ormai tutti promuovono.
L’elenco è davvero lungo. Una voce, sentita almeno due volte, narra di un amateur dire a un collega: “Andrei volentieri ad abbonarmi al circolo Abc ma mi hanno detto che la manutenzione non è più quella di una volta”.
Salvo poi scoprire che:
1) il “mi hanno detto” era una sòla – per dirla alla romana – visto che la manutenzione era perfetta.
2) a lamentarsi era un tesserato libero, ben lungi dal diventare abbonato effettivo o feriale a un qualsiasi circolo.
Poveri professionisti

Quanto poco conti la voce AI intitolata “Sostenere l’agonismo italiano” è sotto gli occhi di tutti. Francesco e Dodo Molinari, Guido Migliozzi, Francesco Laporta, Matteo Manassero e qualsiasi professionista azzurro giri il mondo viene definito sui social (spesso da arditi utenti come “Pippi Calzelunghe” o “Il Bro”) bollito e finito, quando va bene. Bell’esempio per uno sport dove il rispetto è la regola numero uno.
Capitolo Open d’Italia: qualunque sia la sede prescelta il golfista italiano difficilmente ci va di persona salvo poi lamentarsi del fatto che “in Italia nessuno segue live il golf e diamo una pessima immagine in tv”.
L’elenco è aggiornabile, lo sappiamo tutti. Ma mi piacerebbe davvero che chi ha letto queste righe ci rifletta un momento e risponda cliccando qua: “Io cosa ho fatto per il Golf italiano?”
