
Quello che si apre oggi a Portrush è il major di golf più antico della storia ma anche quello con il nome più discusso. Ufficialmente si chiama The Open Championship. Ma per molti – da Arnold Palmer a Jack Nicklaus – resta semplicemente il British Open. E per molti inglesi è The Open e stop.
A Royal Portrush, in Irlanda del Nord, la questione si riaccende. Perché l’Irlanda del Nord fa parte del Regno Unito, ma non si trova sull’isola della Gran Bretagna. E allora, quanto è corretto chiamarlo ancora British Open?
Un nome, una storia

L’organizzatore della storica gara, l’R&A, non ha mai avuto dubbi: dal 1860 lo ha sempre chiamato The Open Championship. All’epoca non esistevano altri open nel mondo. Poi sono arrivati lo U.S. Open, il South African Open, l’Australian Open e via via molti altri. Praticamente ogni Paese ha il suo. Da qui la necessità, soprattutto negli Stati Uniti, di distinguerlo: è nato così il termine British Open, utilizzato da oltre un secolo anche dall’agenzia di stampa “Associated Press”.
Ma l’R&A non ci sta. Negli ultimi anni ha lanciato una campagna di comunicazione per ribadire che l’unico vero Open è quello originale, giocato per la prima volta a Prestwick, in Scozia. E oggi, più che The Open Championship, lo si sente chiamare semplicemente The Open.
Gaffe celebri: Scott e Morikawa

Anche i grandi sbagliano. Nel 2021, dopo la vittoria a Royal St. George’s, l‘americano Collin Morikawa pronunciò un discorso perfetto… fino all’ultima frase. “Non vedo l’ora di tornare ogni anno al British Open per sentire il vostro tifo” disse Collin. L’R&A invece non disse nulla ma trattenne il fiato.
Lo stesso australiano Adam Scott ammette di usare il termine British Open ma “solo quando parlo con gli americani, così sanno quale torneo intendo”. Ci crediamo?
Nel 1951, la prima volta a Portrush, perfino il Daily Telegraph di Sydney scrisse: “Record di Bobby Locke e Tom Hargreaves nel secondo turno di qualificazione del British Open”. Il glorioso Peter Thomson, leggenda australiana dell’Open, si rivolterebbe nella tomba, scherza Scott.
Dall’Argentina “British Open” con amore

Il termine British Open compare in cronache d’epoca. Quando Roberto De Vicenzo vinse a Royal Liverpool nel 1967, la stessa agenzia AP scrisse: “Il gaucho argentino ha battuto il campione in carica Jack Nicklaus di due colpi, conquistando il British Open”.
Lo stesso Palmer, nella sua autobiografia A Golfer’s Life, usa il termine British Open. Ma quando l’R&A gli chiese di scrivere l’introduzione per un libro celebrativo, usò correttamente The Open Championship. Questione di contesto, o come si dice… “quando sei a Roma…”.
Anche Nicklaus, parlando dei caddie dei figli, disse: “Jackie prese il Masters e l’Open. Steve ebbe il British Open”.
British Open anche in Irlanda?
E se un giorno l’Open si giocasse fuori dal Regno Unito? L’R&A sta valutando seriamente la possibilità di portarlo a Portmarnock, vicino Dublino. Ma l’Irlanda, va ricordato, non fa parte del Regno Unito. Chiamarlo British sarebbe un controsenso. Mark Darbon, nuovo Ceo dell’R&A, ha spiegato che la “patria” dell’R&A è l’intero arcipelago britannico, non solo la Gran Bretagna.
Basterà a giustificare il nome British Open? Forse no per il marketing o la storia, ma dal punto di vista geografico… non è del tutto sbagliato.