C’è un nuovo volto scolpito nel Monte Rushmore del golf. È quello di Rory McIlroy, che con la vittoria al Masters, ha completato il tanto atteso Career Grand Slam, diventando il sesto giocatore nella storia a riuscirci. Un traguardo che non solo lo consacra tra i giganti ma gli apre nuovi orizzonti: da oggi McIlroy gioca con la libertà di chi ha già realizzato il sogno più grande. Tutto il resto è un gradino più sotto.
“Adesso di cosa parleremo l’anno prossimo?” ha scherzato il nordirlandese nella conferenza stampa post-vittoria. Una battuta che nasconde una verità profonda: liberato dal peso dell’unico Major che mancava alla sua collezione, McIlroy può finalmente guardare avanti senza fantasmi.
Una vittoria attesa 11 anni
Dall’ultima volta in cui aveva trionfato in un Major sono passati 11 anni. Una vita, o poco meno. E il Masters era diventato anno dopo anno un’ossessione. Che non ci fosse feeling lo dicono anche i numeri: prima di quest’anno, solo due volte su sedici partecipazioni il nordirlandese era arrivato alla domenica pomeriggio davvero in corsa per la green jacket. Il quarto posto nel 2015 il piazzamento migliore.











Quest’anno è stato diverso. Tutto diverso. Il colpo alla buca 18, la testa china, il petto che si solleva, la liberazione. E poi il sorriso sincero mentre Scottie Scheffler gli infila addosso la green jacket taglia 38. Una scena, quella della vittoria al Masters che McIlroy aveva immaginato da una vita.
Ora tutto è possibile, anche l’altro Slam
McIlroy (26 vittorie sul PGA Tour ad oggi, 16 sul DP World Tour) compirà 36 anni a maggio, ma giura di sentirsi più forte oggi rispetto a dieci anni fa. Difficile dargli torto: tre vittorie (compreso The Players) nei primi quattro mesi del 2025. Qualcosa come 13,2 milioni di dollari guadagnati solo sul PGA Tour nello stesso periodo e, sopratutto, una forma smagliante. Mai, in 18 anni da professionista, aveva iniziato così bene.

Con il Career Grand Slam completato, ora si può sognare in grandissimo, leggasi il Calendar Slam.
Facciamo un esercizio di stile. Dopo Augusta, il calendario dei Major sembra scritto apposta per lui. Il PGA Championship si gioca a Quail Hollow dove Rory ha già vinto quattro volte. Lo U.S. Open sarà a Oakmont, percorso che premia i “bombardieri” come lui. E poi il British Open sarà a casa sua, al Royal Portrush. In Irlanda del Nord nel 2019 sbagliò tutto all’inizio e mancò il taglio. Ma quest’anno ci torna con più libertà che pressioni.
“Rory McIlroy può arrivare a dieci Major”
Chi lo conosce bene, come l’amico e mentore Brad Faxon, non ha dubbi: “Può raddoppiare i Major – dice all’agenzia Associated Press – e arrivare a quota dieci”. Per ora è a quota cinque, come Brooks Koepka. E distante tredici Major da Jack Nicklaus, il recordman assoluto. Ma l’orizzonte si è aperto.
In quell’orizzionte non fanno parte fenomeni che non hanno vinto quello che ha vinto quest’ex ricciolone. Qualche nome? Sam Snead, 82 vittorie sul PGA Tour ma mai uno U.S. Open. Phil Mickelson, più vittorie e Major di Rory ma mai quel benedetto U.S. Open che varrebbe il Career Grand Slam. Poi Tom Watson, otto Major ma senza PGA Championship. Nemmeno Arnold Palmer non ha mai completato il poker.
McIlroy rischiava di restare in quel limbo degli almost greats, i grandi incompiuti. Ma non più. Ora ha una sedia riservata alla cena dei campioni del Masters, una giacca che lo aspetta ogni aprile nel suo armadietto ad Augusta, e una libertà che vale più di qualsiasi montepremi.
E la vera domanda, adesso, è un’altra: quanto ancora può vincere Rory McIlroy?