La Ryder Cup torna negli Stati Uniti: gli Usa hanno vinto l’edizione numero 41 giocata ad Hazeltine, in Minnesota. E’ finita con un 17-11 maturato negli ultimi singoli quando ormai tutto era praticamente compiuto: il putt decisivo è stato quello di Ryan Moore, entrato in squadra solo sette giorni come terza wild card. E ora il suo nome è nella storia del golf Usa.
Come si sapeva, per tenersi la Ryder Cup Team Europe avrebbe dovuto bissare l’impresa di quattro anni fa a Medinah quando, sotto 10-6 all’ultimo giorno, rimontò e vinse 14,5-13,5. Fu una specie di miracolo sportivo, una di quelle cose che non possono ripetersi così presto. Stavolta si partiva da 9,5-6.5 ma il Team Usa oggi è di gran lunga più forte di quello di quattro anni fa.
I SINGOLI – Cuore e batticuore in quasi e tutti i singoli di domenica. Da mostrare in qualsiasi Golf Academy le 18 buche tra McIlroy e Reed (che ha vinto 1 up) e quelle tra Mickelson e Garcia (pareggiate), da incorniciare le prestazioni di Cabrera Bello e Pieters sul versante europeo, di Snedeker e Koepka tra i padroni di casa.
In generale gli statunitensi si sono dimostrati anche più forti a livello mentale, capace di non sbandare quasi mai e non lasciando di fatto rientrare in partita gli uomini di Darren Clarke.
DARREN CLARKE – Il processo è aperto: i capi d’accusa sono sin troppo evidenti. “Clarke ha sbagliato due wild card su tre”. “Clarke non ha saputo scegliere le coppie giuste nei primi due giorni”. Tutto vero, tutta esperienza da girare al prossimo capitano di Ryder Cup, in calendario nel 2018 a Parigi.
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