Luca Brusorio, appassionato e conoscitore di golf, ha realizzato per “Golfando” quest’intervista a Tullia Calzavara, ex proette con una bellissima vita da raccontare
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“Senza dubbio, il sommo piacere del golf è che sul fairway, lontani da tutte le pressioni dei rapporti sociali e della razionalità, ci si può sentire immortali per qualche ora”. Colman McCarthy
Proprio le parole di questo giornalista americano, progressista e anarchico, ma da lungo tempo attivista per la pace sono l’introduzione perfetta per una chiacchierata con una giocatrice straordinaria in grado di insegnare molto su come prendere la vita e il golf: Tullia Calzavara.
Partiamo dal principio per chi non ti conosce ancora. Presentati ai nostri lettori
Mi sono avvicinata al golf attraverso i miei genitori che erano soci a Villa Condulmer. Volevo anche imitare i miei fratelli più grandi. Ho iniziato quando ero molto piccola (è nata nel 1983, ndr).Avevo circa sei anni e proprio in virtù del fatto che la mia famiglia giocasse inevitabilmente passavo i miei weekend al golf.
Nel 2003 sei passata pro dopo aver vinto con la Nazionale la finale degli Europei 1999 a squadre e il British Girl 2000. Da allora cosa è cambiato ?
In questi tredici anni sono cambiate moltissime cose, sia nella mia vita personale, sia nel panorama golfistico. Il golf è uno sport che sta prendendo sempre più voga, diciamo che sta dilagando. Ormai ci sono campi da golf ovunque. Quindi sta diventando sempre più popolare e sempre più conosciuto. Per me negli ultimi dieci anni c’e stato una sorta di boom dal punto di vista golfistico.Per me sicuramente sono cambiate molte cose. Nel senso che ho passato cinque anni sul Tour. Anni per me molto importanti sia come persona che come giocatrice. Ho acquisito una sorta di bagaglio sia umano che tecnico e golfistico molto importante che chiaramente porterò sempre con me.
Da pro a dilettante
Poi il ritorno al dilettantismo per ragioni essenzialmente dovute sia al concetto di golf femminile, che non mi piaceva molto e che non era per me appagante, sia come stile di vita, sia come ambiente. In ogni caso comunque un ritorno al dilettantismo ad alti livelli: un gioco speculare a quando ero professionista. Ho deciso di rimanere in quest’ambiente come scelta di vita personale e non tornerei indietro.
Il tuo golf è cambiato…
Chiaramente in questi anni ci sono state delle evoluzioni nel mio gioco. In primis sicuramente più potente di quando avevo 19 anni. Ho migliorato magari qualche colpo attraverso l’esperienza. Comunque questo è un sport dove non si smette mai di imparare. Si può migliorare sempre: sono ancora alla ricerca del mio giro e gioco perfetto.
Parlaci del rapporto con il tuo maestro Enrico Trentin: sembrate molto legati ed affiatati o sbaglio?
Io e Enrico Trentin siamo molto legati. Direi che siamo cresciuti insieme. Ho iniziato a fare lezioni con lui quando avevo circa 14 anni, l’anno in cui sono entrata in Nazionale e lui era appena passato professionista, diventando maestro a Villa Condulmer. In realtà era amico di mia sorella. Quindi me l’ha presentato perché giocavano insieme come dilettanti. Il feeling con lui non è mai sceso, anzi anche nei momenti di difficoltà, devo dire che per me è come un fratello maggiore, veramente un legame umano molto forte</strong. Sono molto soddisfatta del rapporto.
Nel 2015, hai raggiunto il decimo titolo italiano tra gli individuali e a squadre: che sensazioni si provano ? Come ti prepari?
L’anno scorso per me è stato un traguardo veramente importante perché innanzitutto non avrei mai pensato che sarei riuscita a vincere dieci titoli italiani, proprio mai. Una grande soddisfazione. Però le soddisfazioni te le godi alla fine e nel momento in cui non sei concentrato sul risultato finale ma pensi ad ogni singola vittoria, ad ogni singolo giro, ad ogni singolo percorso che devi affrontare. Non puoi pensare da piccolo che potrai arrivare a 15, 10 20 titoli italiani. Secondo me è una cosa che devi maturare volta per volta e poi alla fine li conti.
Per quanto riguarda la preparazione ci vuole una gran passione, tanta forza di volontà e capacità di tollerare la frustrazione che è inevitabile in questo gioco e tantissima costanza e impegno…E magari anche un pochino di talento non guasta.
A maggio, dopo quattro titoli a squadre consecutivi, vi siete dovute arrendere in semifinale. Immagino sia stato un colpo basso…?
Più che colpo basso è stata proprio una mazzata, una “tangherata” sui denti. Eravamo partiti con una squadra molto forte, poi Emilie Paltrinieri che è tesserata da noi quest’anno, una giocatrice fortissima (che ha vinto il British Girl come me e tra l’altro ha la mia stessa età) si è fatta male ad un dito. Quindi non ha potuto partecipare. Al suo posto c’era Alessia Avanzo, molto brava ma che è arrivata il giorno della gara… Insomma tutto un po’ un casino e siamo arrivati in semifinale.
E’ stato doloroso, se devo dirti la verità, fisicamente doloroso però questo ci darà grande motivazione per l’anno prossimo. Ogni tanto un po’ di fame fa anche bene.
Cosa ti aspetti ora dal futuro, che sogni nascondi ancora nel cassetto?
Il futuro si crea ogni giorno ma i miei sogni sono ancora golfistici. Sono quelli di giocare il più possibile a questi livelli abbastanza elevati, mantenendo sempre un certo allenamento fisico, tecnico e bisogna avere anche una testa, serve molta concentrazione. Poi mi piacerebbe tantissimo – tra vent’anni – entrare a far parte della Nazionale seniores, quindi recuperare il percorso che ho fatto da junior. Per me sarebbe proprio come dire: “ok mi sento a posto”. Perché dopo 40 anni di golf sarei straordinariamente felice e quindi continuare a vincere il più possibile.
Se dovessi avvicinare qualcuno a questo mondo, come gliene parleresti ?
Sono una pessima avvicinatrice perché tutte le persone che porto poi non ricominciano. Penso che comunque ci voglia una buona dose di costanza: questo non è uno sport che puoi fare una volta al mese e sperare di colpire la palla, è uno sport che richiede costanza e impegno. Secondo me ci vogliono delle doti abbastanza fisiche, come la coordinazione. Quindi se dovessi avvicinare qualcuno sarebbe di certo un adulto perché un bambino avrebbe molta più facilità: un adulto dovrebbe avere delle doti psicofisiche particolari. E’ uno sport meraviglioso, uno sport dove si resta all’aria aperta, uno sport dove la competizione è in primo luogo con se stessi. Il golf motiva moltissimo dal punto di vista psicologico: è una sfida affascinante, una sfida in percorsi sempre diversi e in condizioni sempre diverse. Non credo che il golf sia uno sport bello, il golf è uno sport affascinante che è una cosa molto diversa.
Hai altre passioni?
Beh la mia passione più grande è il mio lavoro, io sono psicologa clinica e amo moltissimo il lavoro che faccio, per me è una forma di soddisfazione e gratificazione enorme. Poi c’è l’attività sportiva in generale, quindi l’allenamento fisico; mi piace molto allenarmi in palestra e sono abbastanza perfezionista in questo e quindi cercare di raggiungere una forma fisica sempre migliore possibile e più funzionale possibile per il golf. Poi amo molto la musica e la lettura.
Nel 2014, appunto, hai superato anche l’esame di stato in Psicologia clinica. Che impatto ha avuto sul tuo modo di giocare e nella vita quotidiana ?
Il passaggio dall’esperienza tra i professionisti (quindi giocare e girare il mondo per undici mesi l’anno) alla vita normale (casa, studio, allenamento) è stato, devo dire, meno forte di quanto pensassi perché effettivamente avevo proprio bisogno di questo. E’ stato un abituarsi, diciamo piacevole.
Alla fine ho iniziato a girare il mondo a 14 anni quindi dopo dieci anni mi pesava un pochino perché secondo me il gioco non valeva la candela. E poi non è la quantità di ore che giochi ma la qualità.
Ora mi ritaglio delle ore durante la settimana in cui mi dedico al golf e sono abbastanza, circa quattro volte a settimana come minimo, dove gioco qualche ora al 100%. Quindi in realtà l’impatto sul mio gioco non ci è stato e l’impatto sulla mia vita sicuramente sì.
Intervista a cura di Luca Brusorio