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Giocare a golf nella Repubblica Democratica del Congo

Il nostro globetrotter del golf non si ferma mai. Pier Paolo Vallegra racconta un altro spezzone del suo viaggio in Africa: ecco com’è andata nella Repubblica Democratica del Congo.

Pier Paolo Vallegra e signora nella Repubblica Democratica del Congo
Pier Paolo Vallegra e signora nella Repubblica Democratica del Congo

“Sveglia all’alba per spostarsi in aereo di una ventina di chilometri, fra le uniche capitali al mondo che si fronteggiano sulle due sponde di un fiume. Mi dicono che il 99% delle persone usano il battello che collega le due rive in pochi minuti, ma da più parti ho sentito riserve sulla sicurezza di questo spostamento (ancora con tutte le valigie al seguito). Quindi ho preferito il più scomodo (partenza alle 7h30) e costoso viaggio aereo con Asky.

di Pier Paolo Vallegra

La durata dichiarata del volo è di 50 minuti, ma in meno di venti eravamo a terra a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo. 

Repubblica Democratica del Congo sfruttata e divisa

La storia della Repubblica Democratica del Congo si separa da quella della Repubblica del Congo con il citato trattato di Berlino del 1885, con cui nasce il Congo Free State, che comprende grosso modo l’attuale RDC. All’epoca era possesso personale di Leopoldo II del Belgio, nemmeno una colonia belga.

Leopoldo II era interessato a gomma, avorio e altre ricchezze naturali del bacino del Congo. Il re permise/commise atrocità terribili sulla popolazione. Le società private concessionarie fecero ricorso a lavoro forzato, stupri, maltrattamenti e mutilazioni. Si valuta che in 23 anni morirono oltre dieci milioni di persone. Questa situazione durò fino a quando il Belgio, sotto una crescente pressione internazionale, annesse il territorio come colonia.

La situazione della popolazione migliorò, ma continuò lo sfruttamento economico della Repubblica Democratica del Congo.

Dopo l’indipendenza si scatenarono lotte politiche e secessioni, come quella del Katanga. Al potere si avvicendarono nomi che chi ha un’età non più verde ricorda: Kasa-Vubu (estromesso da un colpo di Stato), Lumumba (ucciso da militari belgi, con l’ok di Eisenhower) e Mobutu (dittatore autoritario e nazionalista). Fino a Kabila (assassinato e sostituito dal figlio) e all’attuale quinto presidente Tshisekedi, rieletto nel 2023 con i tre quarti dei voti e le solite accuse di brogli.

Su questo scenario si inseriscono l’odio etnico fra tutsi e hutu e l’intreccio della storia della Repubblica Democratica del Congo con alcuni Stati confinanti. Quindi da segnalare l’intervento estemporaneo della Francia (pro Ruanda) e il supporto alla Repubblica Democratica del Congo di Zimbabwe, Namibia e Angola.

L’uccisione nel 2021 del nostro ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci è l’indicatore di un clima trasversale fra la guerra civile e il conflitto etnico. Sullo sfondo le ingerenze di Stati africani, europei e non solo, interessati al sottosuolo congolese.

Kinshasa, poche fogne e nessun semaforo

Kinshasa è una megalopoli di 17,6 milioni di persone, con poche fognature e nessun semaforo. Ci sono migliaia di persone che si spostano in auto, camion, tuk-tuk, moto e motorini, biciclette, carretti trascinati a mano o da muli. Oppure a piedi, attraversando il traffico perennemente intasato. Di notte si procede nel buio quasi assoluto, con molte auto e moto senza fari e pochissime luci nei palazzi a lato strada. La parola che ho sentito più spesso a Kinshasa è embouteillage

Basti pensare che dall’aeroporto all’Hilton ci sono 28 chilometri e ci abbiamo messo (con l’auto dell’hotel) due ore e venti alle nove del mattino e tre ore e dieci minuti al pomeriggio alle 17. Velocità media: nove km/h. Il prezzo di cento dollari a tratta appare adeguato, anzi…

Il Golf de Kinshasa, le prime nove buche

Raggiungere il Golf de Kinshasa, a meno di tre chilometri dall’Hilton, porta via cinquanta minuti per cui, se non avessi avuto la sacca a spalla e non fossi stato a Kinshasa, avrei preferito farmela a piedi. Sarei anche arrivato prima!   

Alle 10.45 arriviamo in hotel e sta piovendo a dirotto. I miei piani naufragano letteralmente…

Chiedo in reception un early check-in che so costare metà del prezzo giornaliero della camera (circa 220 dollari). Incredibilmente il ragazzo cui mi rivolgo mi propone di darmi la camera entro dieci minuti gratis in cambio di una buona recensione su Tripadvisor o Booking. La vista dalla suite river view al decimo piano è splendida.

La vista dalla camera dell’albergo

Festeggiamo il risparmio ottenuto con una maxi-abbuffata di pesce in uno dei quattro ristoranti dell’hotel, il View, il roof garden con vista sul fiume Congo. 

Al pomeriggio il sole è tornato e ne approfitto per giocare le prime nove buche. Mi limito alle prime in quanto un po’ per l’ora e un po’ per l’assenza di voiturettes, le 18 buche sono improponibili.

Nato nel 1923, col nome di Cercle Royal de Léopoldville, quando ancora esisteva il Congo belga, il percorso è un par 72, con quattro par 3 e quattro par 5, equamente distribuiti nelle prime e seconde 9 buche. Il totale è di 5.195 metri (dai blu dove gioco io, 6.115 metri dai gialli).


Lascio il mio caddie ufficiale in clubhouse (una costruzione ad un piano moderna ed accogliente) e parto col mio caddie temporaneo Jimmy. Il percorso è così stranamente bagnato con laghetti e ruscelli che, tranne la 1, interessano tutte le prime nove.

La buca 1 è un par 4 relativamente corto, 321 metri con un secco dog-leg a sinistra. L’angolo è protetto da tre bunker. Io finisco nel secondo, prendo la medicina (ho poche possibilità di manovra) e tiro il terzo da poco più di cento metri dalla bandiera, finendo sorprendentemente nel bunker a destra dove la palla, preso il green, rotola beffardamente. Esco così così e sbaglio il putt da due metri. Via con un doppio bogey…

Il par 3 della due è inspiegabilmente hcp 13, benché ci sia un laghetto ad uncino davanti. A sinistra del green due bunker a difesa a destra. Presente anche folta vegetazione intorno al green. Fra il laghetto ed il green ci sono una ventina di metri. Ci finisco con un legnetto 7. Bellissimo approccio col 9 a correre, tocco la bandiera e mi ferma a una spanna: par.

Il par 4 della tre, 312 metri, è bordeggiato da un ruscello a destra e due laghetti a sinistra. Il secondo laghetto è sulla sinistra del green. Un generoso bunker antistante raccoglie le palline sinistrorse altrimenti destinate a finire in acqua. Si può solo andare dritti, come faccio con un bel driver, che mi permette di tirare un agevole ferro 9 al green, due putt: par.

Completo il trittico col par 3 della buca quattro, anch’esso pieno d’acqua, in particolare sul lato destro. Un legno 3 per tentare i 150 metri che mi separano dalla bandiera. Comodo ferro 9 a correre e putt: par.

La buca cinque è un par 4 di 315 metri, senza pericoli apparenti, con acqua de adorno a destra e la fitta vegetazione che la rende piuttosto stretta. Finisco a sinistra sul bordo di un albero, senza spazio per un secondo colpo decente, che infatti finisce troppo lungo. Il che mi costringe a posizionarmi col terzo davanti a due monumentali bunker che occupano quasi tutto il fairway. Il green, distante una cinquantina di metri, è fatto a fagiolo ed è a sua volta circondato da tre bunker. Approccio con un sand che arriva in green, ma prende la pendenza ad uscire e rotola all’indietro ad almeno trenta metri dalla bandiera. Faccio un miracolo con un lob verso la bandiera all’estrema sinistra del green, e riesco ad imbucare da tre metri: doppio bogey.

La 6 è una buca severa, con un grosso bunker centrale, affiancato da tre pericolosi avvallamenti, ed acqua che circonda il green. Il lago ha quattro lati irregolari, approccio complicato. Par 4 di 324 metri, è quasi impossibile avere un primo colpo soddisfacente. Ho ricordi confusi, come confuso ero io. So solo che sono stato contento di aver chiuso con un sei!

Dopo due doppi bogey consecutivi, la 7 (con i suoi 265 metri, acqua nei primi 60 metri e due soli bunkeroni a difesa del green) è stata una mano santa! Legno 3, ferro 7 in green e due putt per il quarto par di giornata!

La 8 è un par 5 con hcp 1, soprattutto per il finale complicato. Sembra strano ma ho preso in pieno l’unico bunker a destra. Quindi ho rimediato con una buona uscita con un ferro 6. Il lungo lago (80 metri) davanti al green mi intimoriva. Così ho fatto uno stupidissimo mini lay-up, che ovviamente è riuscito male e sono finito in acqua. Il quinto tiro è corto al green. Un discreto 9 a correre mi ha permesso di imbucare il settimo colpo.

L’ultimo, corto par 5 (399 metri) con un ruscello lungo tutta la buca a sinistra e ben sette bunker, è stato un calvario. Ho giocato tutto in difesa ma sono riuscito a chiudere in bogey, per un totale in stretto par (per un bogey man come me): 45.

Dal golf ai bonobo e Muhammad Alì

Il giorno dopo è dedicato ai bonobo, primati della famiglia degli ominidi, conosciuti anche come scimpanzè pigmei. Sono gli animali che condividono la più alta percentuale di Dna con l’uomo, calcolata fra il 97 e il 98,6%.

Fino a meno di cent’anni fa la specie bonobo non era ancora conosciuta, con il fiume Congo a fare da ostacolo naturale per separarli dall’uomo. Se si vogliono vedere i bonobo in natura o in parchi dedicati, come l’Orphanage Lola ya Bonobo, bisogna andare nella Repubblica Democratica del Congo, visto che ne è vietata l’esportazione. Si valuta che il loro numero sia inferiore ai 50.000 esemplari, anche per la tradizione delle popolazioni della foresta di catturarli e mangiarli.  

Per 300 dollari andata e ritorno l’Hilton ci mette a disposizione un’auto per arrivare all’Orphanage Lola ya Bonobo, a 23 chilometri da Kinshasa. Vi arriviamo dopo un viaggio avventuroso di due ore. 

A sette chilometri dall’hotel, grazie ad una piccola deviazione, facciamo una sosta allo Stade Tata Raphael. Qui il 30 ottobre 1974, si svolse l’incontro di boxe più iconico della storia, “The Rumble in the Jungle”. In palio i titoli WBC e WBA dei pesi massimi fra George Foreman (Big George) e Muhammad Ali (The Greatest). Il risultato, dopo un geniale cambio di strategia durante l’incontro, fu la vittoria di Alì al minuto 2:58 dell’ottavo round.

Al Loya Bonobo, pagati i 30 dollari per l’entrata, dietro una rete metallica vediamo una decina di bonobo che la guida conosce e chiama per nome portando loro papaya. Se si attarda gli animali manifestano la loro contrarietà scavando delle piccole buche e tirando terra ai visitatori con una precisione sorprendente.

La guida ci spiega che l’orphanage accoglie soprattutto cuccioli rimasti soli nella foresta dopo l’uccisione della mamma. Poi vengono allevati e istruiti in modo di acquisire autonomia. In totale Lola ya Bonobo ospita un’ottantina di scimpanzè pigmei che vivono in un regime matriarcale.

Gli studiosi sostengono che i bonobo sono capaci di empatia, compassione, altruismo, sensibilità, pazienza e gentilezza. Pare che queste virtù nascano dalla tendenza a praticare sesso ricreativo, attività che tende ad appianare le tensioni nel gruppo e i comportamenti aggressivi.  

Pier Paolo e “caddie” davanti a un bonobo

Malgrado il loro comportamento a dir poco libertino, i bonobo sono immuni dal virus di immunodeficienza delle scimmie (SIV) che esiste da oltre 30.000 anni. Il SIV è considerato l’antenato dei virus HIV-1 e HIV-2 che infettano l’uomo. “

(segue)


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