In un anonimo martedì di agosto i professionisti di golf hanno imbucato un putt dalla lunghissima distanza. Un putt decisivo, da considerare quasi una pietra miliare. Dal primo agosto Tiger Woods è entrato in una specie di cda del PGA Tour e probabilmente nulla sarà più com’è stato finora nella stanza dei bottoni del principale circuito mondiale.
Tecnicamente parlando Woods è stato aggiunto al policy board del PGA Tour in qualità di player director. E’ diventato uno dei sei giocatori professionisti del comitato esecutivo dove si prendono le decisioni più importanti. L’ingresso e il relativo annuncio sono avvenuti a poche ore da una email inviata da 41 giocatori professionisti a Jay Mohanan, il commissioner che – senza avvisare i giocatori – ha trattato prima e firmato l’armistizio poi tra PGA Tour e LIV Golf. I firmatari della missiva (tra loro big come Spieth, Matsuyama, Day, Fowler, Morikawa, Finau e Thomas) hanno espressamente chiesto un posto per Tiger Woods nel board.
Semplice il ragionamento alla base: il PGA Tour è un’organizzazione nata per i professionisti di golf e gestita dai professionisti di golf. E Mohanan non l’avrebbe gestita al meglio per i professionisti di golf.
Le ragioni della rottura
Nel messaggio al loro numero uno i giocatori i chiedevano di contare di più nella gestione del PGA Tour, partendo da semplice fatto di venire informati di quanto accade nel circuito.
A Rahm e soci non era piaciuta affatto l’improvvisa fusione tra circuito Usa e SuperLega araba, finanziata con i petrodollari del PIF (principale fondo sovrano saudita). “Da quelle parti solo dollari sporchi di sangue” ha scritto più di un giornalista, ricordando la morte del giornalista Jamal Khashoggi, mai uscito dall’ambasciata saudita di Istanbul dopo esservi entrato il 2 ottobre 2018.
Dopo anni di guerre e denunce con tanto di saluto tolto tra colleghi sul green, i professionisti a maggio hanno scoperto da un comunicato stampa (come qualsiasi comune mortale) che Monahan aveva firmato la pace con i sauditi.
Due le richieste più Tiger Woods
Chiaro che la scelta – irreversibile – di far pace con gli arabi di Mohanan non poteva passare sotto silenzio. Da qui la mail inviata lunedì e resa nota dal The Washington Post. I giocatori hanno chiesto tre cose: una poltrona per Tiger, più trasparenza e diritto di voto.
Cominciamo dal terzo punto. Il policy board è composto adesso da dodici membri effettivi. Con Tiger Woods i giocatori presenti passano da cinque a sei (gli altri sono Cantlay, Hoffman, Malnati, McIlroy e Simpson). I membri non giocatori sono cinque (di cui una poltrona vacante, viste le dimissioni di Randall Stephenson dopo l’accordo con PGA/LIV). Il dodicesimo posto spetta a John Lindert , presidente di PGA of America (l’associazione di categoria dei professionisti Usa). Quest’ultimo, per prassi, non prende parte alla votazione su proposte e/o ordini del giorno.
Sei giocatori contro al massimo cinque tecnici: Tiger ha ribaltato l’equilibrio dentro il board. E visto che Woods ha sempre rimandato al mittente le offerte milionarie degli arabi l’ago della bilancia dovrebbe pendere da una parte ben precisa.
“I giocatori avranno piena trasparenza e la facoltà di approvare o bocciare qualsiasi potenziale modifica al Tour” c’è scritto nel comunicato che annuncia l’ingresso di Tiger. A fatto compiuto Monahan ha ammesso così di aver sbagliato nel non coinvolgere i principali azionisti del PGA nella trattativa con i rivali del LIV Golf Tour. “Mi impegno a lavorare per riconquistare la fiducia persa dopo l’annuncio a sorpresa del nostro accordo quadro” ha proseguito. E poi ha nominato Colin Neville consulente esterno per i rapporti con i giocatori. Chi è Colin Neville? Chi segue il nostro blog forse se ne ricorderà: si tratta di un pezzo da novanta del “The Raine Group”, la banca privata che stava lavorando alla Premier Golf League, progetto alternativo al PGA Tour e antecedente alla SuperLega araba. Neville sarà il punto di riferimento dei golfisti. Oltre a Tiger Woods.