“Ci sono due tipi di golfisti con due tipi di valori. Ai primi di febbraio un gruppo giocherà a Pebble Beach in California sul PGA Tour. L’altro volerà dall’altra parte del mondo per il Saudi International, gara dell’Asian Tour sponsorizzata da un regime omicida”.
di Sauro Legramandi
L’approccio per niente amichevole al torneo che inizia giovedì 3 febbraio vicino Jeddah arriva dalle colonne del Washington Post, uno dei giornali più influenti e ascoltati al mondo. A non usare giri di parole è Barry Svrluga, editorialista sportivo di un quotidiano da sempre in prima fila nel denunciare la violazione dei diritti umani in Arabia Saudita. Un Paese, quello arabo, che a detta di molti ha aperto i cordoni della borsa per allargare quel sistema di comunicazione politica conosciuto come sportwashing. Si tratta della volontà di rifarsi una verginità internazionale attraverso l’organizzazione di grandi eventi sportivi.
Uno di questo è appunto il Saudi International, gara di golf dalle uova d’oro del circuito Asian Tour fresco di partnership con una neonata “società di promozione golfistica”, la LIV Golf Investments. Dietro la LIV (il cui ceo è Greg Norman, ex numero uno del ranking e mai in sintonia col PGA Tour) c’è il principale fondo sovrano arabo, il Public Investment Fund (neo-proprietario del club calcistico del Newcastle).
“Rory McIlroy non giocherà mai in Arabia”
Il PIF viene definito da Svrluga come “il braccio armato” della famiglia reale saudita”. Dal fondo sovrano sono arrivati duecento milioni di dollari per organizzare dieci maxi-tornei di golf. Quello di Jeddah sarà il primo e il più importante della nuova partnership per niente gradita ai due circuiti mondiali, PGA Tour e DP World Tour (ossia l’ex European Tour). In palio cinque milioni di dollari (erano 3,5 l’anno scorso quando la gara era nel calendario European Tour) e soprattutto “gettoni di presenza” a cinque/sei zeri.
Per giocare al Royal Greens Golf & Country Club di King Abdullah Economic City, i professionisti impegnati sui due tour hanno dovuto chiedere il permesso ai rispettivi circuiti per nulla intenzionati a cedere dollari e visibilità al terzo incomodo.
A Dustin Johnson & Co e al mondo intero Svrluga ricorda il colore dei dollari in palio a febbraio. “Sono soldi sporchi di sangue – scrive – anche se i giocatori diranno di essere ‘solo professionisti che svolgono il proprio lavoro’. Esistono però altri professionisti che svolgono lo stesso lavoro in modo diverso. Rory McIlroy, ad esempio, ha detto che non giocherà mai in Arabia Saudita per nessuna cifra al mondo”.
Khashoggi e una libertà di facciata
“Chi gioca il Saudi International prenderà milioni di dollari da un regime che ha alimentato un’inspiegabile guerra civile in Yemen per sette anni”. A ribadirlo al Post è Sarah Leah Whitson, responsabile oggi di Democracy for the Arab World Now, organizzazione fondata qualche anno fa da Jamal Khashoggi. Il giornalista era l’oppositore numero uno del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. “Nell’ottobre 2018 Khashoggi entrò nel consolato saudita a Istanbul – scrive Svrluga – per i documenti necessari al suo matrimonio. Lì fu ucciso e probabilmente fatto a pezzi. Il corpo non è mai stato restituito alla famiglia. Per l’indagine CIA bin Salman ha ordinato l’omicidio… A febbraio quindi golfisti professionisti sceglieranno di incassare soldi provenienti da chi ordina l’omicidio di suoi dissidenti”.
Un delitto, quello del giornalista che, insieme alla guerra nello Yemen, ha segnato i rapporti tra il mondo occidentale e l’Arabia. “Dopo il caso Khashoggi il principe ha riconosciuto qualche diritto alle donne arabe – spiega Whitson – ma lo ha fatto per mettere a tacere l’indignazione internazionale e poter continuare a fare affari con le società straniere. Le aperture non arrivano per altro motivo”.
Chi ci sarà al Saudi International?
“Con noi o contro di noi” avevano tuonato a suo tempo PGA Tour e DP World Tour a suo tempo, minacciando di mettere alla porta chiunque avesse giocato sull’Asian Tour senza previa autorizzazione. In realtà le cose non sono andate così.
A chiedere e ottenere un salvacondotto per il Saudi International sono stati circa trenta professionisti impegnati sul DP World Tour. I nomi vanno da Paul Casey (ambasciatore Unicef) a Henrik Stenson, da Sergio Garcia a Tyrell Hatton, da Shane Lowry a Tommy Fleetwood, da Ian Poulter a Lee Westwood. Si tratta di giocatori di primissimo piano, gente che ha vinto parecchio in carriera e disputato più edizioni di Ryder Cup. Dagli Stati Uniti partiranno Dustin Johnson (campione uscente), Phil Mickelson, Bryson DeChambeau, Tony Finau, Patrick Reed, Bubba Watson… Poi ci saranno Cameron Smith, Louis Oosthuizen, Joaquin Niemann, Adam Scott… Si parla di quaranta giocatori normalmente impegnati sul tour americano e ora attesi a Jeddah.
Un occhio particolare verrà riservato a Henrik Stenson. Lo svedese è uno dei nomi in circolazione per diventare capitano di Ryder Cup a Roma 2023. Il gettone di presenza del Saudi International potrebbe costargli alla lunga caro.
Il karma: “Non sono un politico, gioco a golf…”
Svrluga ci aveva visto bene. Chi sarà in campo a King Abdullah Economic City recita un copione già visto. Le risposte – spesso piccate e ritenute off topic dagli intervistati – alle domande dei giornalisti di chi giocherà il Saudi International sono quelle anticipate dal giornalista del Post.
DeChambeau due giorni fa ha infatti ricordato in una conferenza stampa di essere “un giocatore di golf prima di tutto. Voglio giocare dove ci saranno i migliori golfisti del mondo. Punto e stop”. Gli fa eco Shane Lowry (vincitore del British Open 2019): “Non sono un politico, il golf è il mio lavoro. Giocando mi guadagno da vivere per dare un futuro alla mia famiglia. Quindi andrò in Arabia Saudita per giocare”. L’inglese Justin Rose qualche tempo fa: “Gli arabi stanno puntando a una società più giusta e corretta, dovranno pur cominciare da qualcosa no?”. Bubba Watson: “Mi piace viaggiare e voglio vedere dei posti nuovi”. Insomma i golfisti si professano liberi professionisti e non politici. Per assurdo: lo fanno adducendo motivazioni tipiche di un politico.
Morale: ognuno è libero di giocare dove gli pare ma senza prendere per il naso altrettanto liberi cittadini e liberi appassionati di golf. Chi gioca a Jeddah abbia l’onesta intellettuale di dire: “Vado al Saudi International perché mi coprono di dollari” e se ne assuma la responsabilità. Oneri e onori. Nella vita come nel golf.