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“Ricorda la schiavitù: via il nome Masters da Augusta”

AUGUSTA, GA - APRIL 03: A Masters pin flag is displayed during a practice round prior to the start of the 2017 Masters Tournament at Augusta National Golf Club on April 3, 2017 in Augusta, Georgia. Rob Carr/Getty Images/AFP

di Sauro Legramandi – @Sauro71
Via col vento è già scomparso dai cataloghi HBO salvo rientrarvi dalla porta di servizio. Le statue di Cristoforo Colombo e Montanelli non se la passano bene. In attesa di conoscere il destino di quelle di Gesù la furia iconoclasta scaturita dal brutale omicidio di George Floyd punta sul golf. Sì, avete letto bene: il golf entra a pieno titolo tra i potenziali bersagli del revisionismo a colpi di social. Un giornalista statunitense ha infatti scritto che è giunta l’ora di cambiare nome al Masters, il più tradizionalista dei tornei di golf.

Secondo Rob Parker “abbiamo vissuto col nome Masters sin troppo a lungo”. L’auspicio è quello di tornare il prima possibile alle radici, ripristinando il nome originale, Augusta National Invitational, mutuato dal nome del circolo dove si gioca, vale a dire l’Augusta National, in Georgia.

Non una gara qualsiasi…

L’Augusta Masters è uno dei quattro Major del golf. E’ una gara del tutto speciale, paragonabile al torneo di Wimbledon per il tennis. Si gioca dal 1939 ogni prima settimana piena di aprile sui terreni di un’ex piantagione diventata prima vivaio e poi culla del golf mondiale. Le 18 buche hanno nomi di fiori e sono circondate da una vegetazione variopinta e perfetta. Il campo è stato disegnato da una leggenda del golf, ossia Bobby Jones.

AUGUSTA Francesco Molinari al Masters 2019 (foto di Mike Ehrmann/Getty Images/AFP)

Diversamente da qualsiasi altra gara, al Masters non si gioca per diritto ma si viene invitati. Ad oggi solo quattro italiani hanno ricevuto l’invito a mettere piede a Magnolia Lane: dopo il superlativo Costantino Rocca, è toccato ai fratelli Edoardo e Francesco Molinari e a Matteo Manassero. L’anno scorso Chicco Molinari ha rischiato di vincerlo il Masters, iniziando l’ultimo giro in prima posizione.

Uno dei fondatori: finché vivrò non ci sarà nulla al Masters oltre ai giocatori bianchi e ai caddie neri Condividi il Tweet

Se difficile è parteciparvi da giocatore altrettanto complicato è assistervi. Praticamente impossibile è diventare membri del circolo.

I biglietti non sono in vendita ma vengono sorteggiati (e poi venduti) tra le migliaia di aspiranti spettatori che si registrano entro il 31 maggio su un apposito sito. Chi è socio del circolo ne ha invece diritto. Un diritto divino o quasi. Esattamente come quello necessario per diventare soci dell’Augusta National. Per accedervi è indispensabile una domanda formale ma la selezione è altissima. Narra la leggenda che anche Bill Gates abbia dovuto faticare non poco per farsi accettare.

E qui iniziano le tristi, tristissime note. Fondato nel 1932, l’Augusta National ha ammesso il primo socio con la pelle nera solamente nel 1990.

AUGUSTA Rory McIlroy cerca la sua pallina finita tra i fiori al Masters 2018 (foto di Jamie Squire/Getty Images/AFP)

Non solo: il primo giocatore di colore in campo è stato visto da quelle parti nel 1975. Si chiamava Lee Elder e, una volta invitato, ricevette minacce di morte al punto di dover ricorrere a un escamotage per non rischiare la pelle. Elder affittò due diverse abitazioni in zona in modo da non fare sapere a nessuno dove dormisse. Per un afroamericano non deve essere stato facile giocare a golf nel profondo sud statunitense. La Georgia, tra l’altro, è uno degli ultimi Stati ad aver abolito la schiavitù.

Di gente di colore in campo a Magnolia Lane ne avevano già vista tanta ben prima del 1975. Nessun giocatore ma decine di caddie. “Finché vivrò non ci sarà nulla al Masters oltre ai giocatori bianchi e ai caddie neri”: è la frase attribuita a Clifford Roberts, broker di Wall Street nonché fondatore del circolo. Per tutta risposta i suoi dipendenti coloured lo chiamavano “SumBitch Roberts”.

“Masters fa rima con schiavitù”

Queste quindi le premesse alle basi della richiesta di Rob Parker. Masters è un vocabolo che evocherebbe sin troppo l’epoca della schiavitù. Un nome da rimuovere in un’estremizzazione del concetto di Black Lives Matter. “Masters non suona affatto bene – scrive Parker su deadspin.com – e a chi dice che ricorda tradizione e storia dico che quando tradizione e storia sono radicate nella schiavitù non dovrebbero venire preservate e onorate… Il dizionario tra le definizioni di masters include “proprietario di schiavi”. Augusta National sorge sui terreni di una piantagione e il proprietario era uno schiavista. Secondo un resoconto del New Yorker dentro la proprietà vivevano degli schiavi”. E ora di cambiare quindi secondo Parker, di tirare una riga sul passato e ripartire.

Il ruolo di Tiger Woods

Infine l’appello a Tiger Woods, uno dei più forti professionisti di ogni epoca, di gran lunga il migliore tra quelli dell’era moderna. “Tiger, altri big del golf e gli sponsor dovrebbero chiedere di cambiare quel nome – scrive Parker -. E’ il segno dei tempi, è giusto e corretto. E’ una soluzione semplice”.

Tiger Woods si è schierato al fianco della causa di George Floyd ma non appare intenzionato ad intraprendere la crociata per il Masters.

AUGUSTA Tiger Woods vince il Masters 2019 (foto di Kevin C. Cox/Getty Images/AFP)

Ad inizio stagione Eldrick Tont Woods (soprannominato Tiger dal padre afroamericano Earl mentre la madre – Kutilda – è thailandese) ha dichiarato che il Masters è la sua gara prediletta, che Augusta è il suo percorso favorito e di essere orgoglioso di far parte della storia dell’Augusta National. Piccolissimo dettaglio: Tiger Woods è il Masters Champion in carica, ha vinto cinque volte sul percorso che fu terra di schiavi e rappresenta la più bella risposta a chi divide ancora il mondo in masters e slave.


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