E’ arrivata dalla Svezia la sorpresa più grande nelle wild card di Luke Donald per la Ryder Cup di Roma. Ludvig Aberg ha conquistato un posto nella selezione europea 77 giorni dopo essere passato professionista. E lo ha fatto a meno di 24 ore dalla prima vittoria in carriera sul DP World Tour (alla seconda gara giocata con lo status da pro). Troppo facile chiamarlo predestinato.
Ludvig Aberg è nato ad Eslöv in Svezia 23 anni fa. Da dilettante ha vinto per due volte il Ben Hogan Award, il titolo come miglior giocatore universitario degli Stati Uniti. E’ stato il numero uno al mondo nel ranking amateur e da leader mondiale è diventato professionista a giugno. Ha disputato finora sei gare sul DP World Tour e non ha mai giocato un Major. Nel World Ranking occupa la posizione numero 90.
Dopo la convocazione da parte di Luke Donald, Ludvig Aberg ha incontrato la stampa di mezzo mondo e, con assoluta franchezza, ha risposto a tutte le domande. Eccone una breve sintesi.
Quando hai cominciato a pensare alla Ryder Cup di Roma?
“La prima volta è stata a Detroit, a luglio, quando io e Luke Donald abbiamo giocato nello stesso team per due round. Quel giorno le cose mi sono andate molto bene (“Ha girato in -9 nelle prime sedici buche come se nulla fosse” ha ammesso il capitano di Team Europe). Poi però non ci ho pensato troppo, credo di aver fatto bene a non illudermi a suo tempo. Giocare in Ryder Cup è sempre stato un sogno e una spinta a fare meglio per me, da europeo e da svedese. Fare parte un giorno di Team Europe era un mio obiettivo della mia carriera ma non mi sarei mai immaginato di poterlo raggiungere così presto. Mi piacciono le sfide e dice bene Justin Rose: questo è un punto di partenza”.
Da spettatore a giocatore: chi sono gli eroi di Ludvig Aberg in Ryder Cup?
“Il mio primo ricordo è il 2012, la domenica del miracolo di Medinah. Guardavo i golfisti svedesi (in campo c’era solo Peter Hanson, ndr), era fantastico vederli in campo. Pensare che ora tocca a me… pare quasi irreale”.
Con Luke Donald vi siete sentiti spesso?
“A Detroit ci siamo incontrati, abbiamo costruito un rapporto personale a prescindere dalla Ryder Cup. Ci siamo conosciuti pian piano a livello umano. Poi ogni tanto abbiamo scambiato qualche messaggino, fino alla telefonata di ieri (domenica, ndr)”.
Ludvig Aberg, futuro numero uno mondiale?
Credevi di dover vincere la scorsa settimana per conquistare il posto? Quali erano le tue aspettative per entrare in squadra?
“Sì. Sapevo di dover vincere per entrare in squadra. Si gioca sempre per vincere ma l’idea della Ryder Cup era una motivazione in più per me questa settimana. Era uno stimolo nuovo e forte. Domenica ho giocato per vincere, ho fatto bene nelle seconde nove e, per fortuna, ce l’ho fatta”.
E adesso cosa provi? Paura? Pressione?
“Non credo che paura sia il termine giusto. Per un golfista queste sono le gare giuste. Anche a Roma andrò alla ricerca di quel colpo, di quel putt decisivo per portare a casa un punto o per far vincere un match. L’ho provato nelle gare da dilettante. Sono super entusiasta di arrivare a Roma perché sarà bello far parte di questa squadra e conoscere meglio i ragazzi. Sono assolutamente pronto per la sfida”.
Che obiettivo hai nel golf? Diventare il numero uno al mondo?
“Assolutamente sì”.
Justin Rose ha detto di apprezzare due cose di te: il tuo tee shot (concorda anche Luke Donald) e il tuo autocontrollo in campo. Cosa ne pensi?
“Ha ragione. Mi sembra di aver un buon autocontrollo in campo: lo ritengo una delle mie qualità. Riesco a restare concentrato sul momento, senza andare troppo in là se le cose vanno bene o abbattermi in caso contrario. E’ stato uno dei motivi decisivi per emergere tra gli amateur e cerco di farlo anche ora, da professionista. I primi due mesi sul Tour lo hanno dimostrato abbastanza. Attorno a me si è scritto e parlato molto in questo periodo ma sono riuscito a giocare piuttosto bene. Domenica sapevo di dover vincere per conquistarmi un posto alla Ryder Cup. E’ la conferma che sto facendo cose buone”.