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Golf in Australia: la mia giornata al Royal Adelaide Golf Club

Prima o poi si tornerà a viaggiare anche per giocare a golf. Se non vedete l’ora e state preparando un ipotetico itinerario di percorsi da provare aggiungete alla lista il Royal Adelaide Golf Club. Il nostro lettore e amico giramondo-campi-da-golf Pier Paolo Vallegra ci è stato e ne racconta campo e contorni. Un diario di golf, con pagine ancora da scrivere.

di Pier Paolo Vallegra
Io odio fare lunghi spostamenti in aereo. A volte è indispensabile, ma specie in quei casi tendo a minimizzare le ore di volo. Così, trovandomi a Kuala Lampur in Malesia, e volendo raggiungere l’Australia, l’aeroporto più prossimo è Adelaide.

Foto di Pier Paolo Vallegra.

Ci imbarchiamo alle 21.45 con un volo Malaysia Airlines e, dopo una notte in bianco passata a vedere film, a fianco del mio caddie placidamente addormentato, l’arrivo è alle 7.15 locali. Il pick up per l’hotel è puntuale, con un comodo minivan in cui possiamo stivare agevolmente il corposo bagaglio (due valigie grandi, la custodia rigida per la sacca e due zaini), e alle 9 siamo al Majestic Roof Garden. L’hotel è situato nel cuore di Adelaide. A parte alcune lingue orientali, in reception parlano solo inglese. Un buon inglese, non con il solito accento aussie quasi incomprensibile.

Dopo un tentativo di recuperare un paio d’ore di sonno perduto, scendiamo al Culshaw’s Restaurant, dove pranziamo pensando al pomeriggio di golf che ci attende.

Alle 13.20 prendiamo un taxi per il campo da golf (a 12 km dall’hotel). Ci fermiamo per strada per comprare un paio di maglie e due ombrelli corti, visto che il tempo si è piuttosto rannuvolato e si è alzato un discreto vento freddo.

Alle 14 siamo sul tee della buca 1 del Royal Adelaide Golf Club, fondato nel 1892 e dal 1905 trasferito a Seaton, un sobborgo di Adelaide. Dal 1923 si può fregiare del titolo royal, cosa di cui i members sono molto fieri, tanto che nel logo del campo, stampato sulle palline al pro shop, troneggia una bella e grande corona reale.

Il Royal Adelaide Golf Club è l’unico campo al mondo ad aver avuto, al suo interno, una vera e propria stazione ferroviaria, dove scendevano patrons and guests per l’apertura ufficiale del 30 giugno 1906, come dimostra una foto in club house. Ancor oggi, fra le buche, passano littorine grigie, gialle, blu con bande rosse, che hanno il buon gusto di non suonare, per non disturbare i giocatori. 

 

Prima i soci, poi i turisti…

Sul sito è scritto che il campo è private e che esistono limitate opportunità per i visitatori che non siano ospiti dei members o reciprocal (cioè members di campi con cui esistono convenzioni in tal senso), di poter giocare. In effetti ci sono un po’ di restrizioni per i tee time (il lunedì e il venerdì no, il martedì e il sabato solo dopo le 13.30…), ma nulla di complicato. Nessun costo inoltre per l’accompagnatore non giocatore (“…just assisting you to play golf”). Poiché era un sabato, abbiamo avuto una partenza pomeridiana.

Attenti al treno… (foto Vallegra)

Per dimostrare comunque un po’ di ostilità verso chi viene da fuori, i prezzi salgono dai 75 dollari australiani per gli invitati, ai 175 per i soci di club australiani, ai 215 per chi non è australiano. Il caddie si paga a parte, con ben 150 dollari (100 euro!). A onor del vero i prezzi non si sono mossi negli ultimi 10 anni…

 

Il campo per un bogey man come me

Si tratta di un links con alberi par 72, di 6.121 metri dai bianchi (6.557 dai blu). L’insidia principale è il vento, che spesso flagella il campo a meno di 2 km. dalla costa. Secondo me comunque i veri links devono essere completamente privi di piante: solo fairways, dune, waste areas, erbaccia alta e secca appena fuori dal fairways, bunker profondi.

Alcune buche sono cieche per cui, prima di tirare il driver occorre salire su appositi osservatori per evitare di colpire i giocatori che precedono.

Dov’è la bandiera (foto Vallegra).

Io sono un bogey man, cioè uno che gioca in competizione con il campo, per chiudere a +18. Il mio handicap è 15.9, fermo dall’ultima gara che ho fatto in Francia – vincendola – nel 2008. Va tenuto conto che all’estero gioco sempre per la prima (e l’ultima) volta su quel campo, spesso senza caddies locali, non conosco le distanze (spesso mal segnalate). Non so le pendenze dei green, le strategie buca per buca, i ferri da usare verso i green in forte dislivello. Insomma non conosco i mille pericoli nascosti (e chi gioca sa che non parlo dei pericoli segnalati dai paletti rossi, gialli, bianchi o blu).

 

Le buche

Quindi parlerò solo delle buche in cui non ho fatto il mio punto usuale, che in questo caso sono sei su 18.

Buca 3, par 4, 265 metri, hcp 18 – Si tratta dell’unica buca che resta del disegno originale di Alister Mackenzie, con il green detto leg of mutton dalla forma di impronta di montone, con forti pendenze. Circondato da mounds con rough.

Legno 3 in centro, con 90 metri per il secondo colpo: ferro 10 che arriva un po’ corto, toccando un mound e fortunatamente rotolando giù in green. Si ferma a meno di un metro dalla bandiera.

Facile birdie! E pensare che la buca, malgrado l’hcp, è stata ostica per molti campioni: nel 1989 Colin Montgomerie uscì con un otto…

Buca 4: par 4, 369 metri hcp 4 – Grande bunker a sinistra a 240 metri: troppo lungo per me, per cui ci tiro in direzione col driver. Sul secondo tiro mi trovo a 170 metri e tiro un legno 3, che finisce a sinistra, in bunker. Green piatto con mounds che vi entrano dentro. Bella uscita a due metri dalla buca, putt e par.

Dopo 4 buche ho tre colpi in cascina

La buca 17 (Foto web)

Buca 7: par 3, 148 metri, hcp 8 – Buca apparentemente semplice, con green circondato dai bunker: sei piccoli davanti e due, a sinistra e destra, sui fianchi. Dietro depressione con rough alto. Vado lungo con un legno 7, che rimbalza in green ma non si ferma. Quindi sand dal rough alto, tirato con eccessiva forza (per timore di restare corto ancora in rough), che tocca il green ma non si ferma, e finisce in un bunkerino davanti al green.

Altro sand con uscita così così a 5 metri dalla bandiera e doppio putt: doppio bogey.

Sono sicuro che se rigiocassi venti volte questa buca non farei mai peggio di bogey. Il  golf si gioca però con una sola palla. Quindi i se e i ma non servono a nessuno. Segnare il punto, dimenticare e portarsi sul prossimo tee di partenza.

Buca 8: par 4, 322 metri, hcp 10 – Tiro il drive verso sinistra, dove c’è una serie di mounds a 240 metri. Ferro 6 da 135 metri, corto, quasi in green; 9 a correre con palla a un metro dalla buca, putt. Par.

Ripreso il colpo perso alla 7 !

 

Pausa snack

Dopo le prime nove buche, mi trovo con tre colpi sotto il bogey man par (37+9-3=43), anche grazie ad una bellissima uscita dai guai alla 1, dove mi sono trovato con il terzo colpo in un bunker così profondo da non vedere la bandiera, uscendone a 40 cm, portando a casa un bogey insperato. 

Quindi da buoni italiani (all’estero, specialmente nei paesi anglofoni, ti guardano con disprezzo), ci fermiamo per mangiare qualcosa.

Il dress code al Royal Adelaide Golf Club è molto rigido: ad esempio non è possibile accedere al ristorante con le scarpe da golf. Quel giorno il ristorante (180 posti, 300 per un cocktail, con bella vista sul putting green e la 18) era occupato da un matrimonio. Così siamo andati al bar, a consumare due toast e una cola.

Buca 10: par 4, 334 metri, hcp 15 – Pini sulla sinistra e erba alta e giunchi sulla destra: bisogna essere dritti e precisi. Infatti finisco nei giunchi, esco con un pitch e rientro in fairway, ma sono ancora ad oltre 150 metri dalla bandiera. Provo un rescue e finisco nel bunker davanti al green. Esco un po’’ corto, a quattro metri dalla bandiera: 2 putt.

Pier Paolo Vallegra

Doppio bogey: me lo merito, ho fatto il primo, il terzo e il quarto tiro scadenti, cosa posso pretendere?

Buca 11: par 4, 350 metri, hcp 13 – È la signature hole del Royal Adelaide Golf Club, detta the crater. Il green sembra un bunker, circondato da montagne di sabbia, al cui interno anziché sabbia, c’è l’erba levigata. Buca complessa: tiro un legno 3 centrale, in quanto so già che non posso tirare al green con il secondo, visto che 80 metri prima ci sono dei fairway bunker e diverse erbacce alte. Scelgo un ferro 9 per un lay up, e mi piazzo a 110 metri dalla buca. Un bel ferro 8 verso la lunga bandiera a destra, e la metto a tre metri: bel putt e par.

Totale 87: ottimo risultato per un bogey man! E, nonostante le fosche previsioni, non ha neppure piovuto!

 

E per finire barramundi e birra scura

La sera alle 20.30 siamo al Culshaw’s Restaurant, dove il mio caddie ordina un carpaccio di canguro, seguito da gamberoni con caviale e insalata con lime. Io preferisco prendere il signature dish della casa, il “Hop Snap & Swim”. Si tratta di un mega piatto costituito da tre parti: calamaro e coda di coccodrillo; pesce barramundi con salsa al basilico, insalata di pere e rucola con lime; filetto di canguro con un soufflé di formaggio di capra.

Il tutto è accompagnato a parte da altre salse con rosella (da noi meglio nota come karkadè) o lemon myrtle, pianta della famiglia delle mirtacee, che gli australiani usano come il prezzemolo. Il mio piatto era inabbinabile a qualsiasi vino. Essendomi informato sul mercato delle birre locali, ne ho scelta una nella vasta lista delle birre di Culshaw’s, la Coopers Stout, 6,3 gradi. Una cheese cake della casa con gelato alla vaniglia, accompagnata da un calice di Bethany Late Harvest Riesling (sentori di agrumi e frutto della passione), proveniente dalla Barossa Valley, zona vinicola a 60 km a nord ovest di Adelaide, ha concluso degnamente la cena aussie.


Golf alle Faer Oer, quando lo swing diventa estremo

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