di Sauro Legramandi – @Sauro71
“L’essenza di questo sport non dipende dalla lunghezza di un colpo o dalla lunghezza del campo”. Non lo dice l’amateur che pecca in potenza nel golf alla coppa fragola ma la US Golf Association e il Royal & Ancient, i due massimi organismi mondiali del golf.
Ad inizio febbraio USGA e Royal & Ancient hanno diffuso Distance Insights Project, report di 102 pagine che vorrebbe e potrebbe rivoluzionare tutto il mondo del golf. Il testo denuncia il sopravvento che forza e tecnologia hanno preso da tempo su abilità e tecnica. Due gli aspetti esaminati: l’eccessivo sviluppo dell’attrezzatura golfistica (bastoni ma anche palline) e il miglioramento atletico dei giocatori. Sapere quale dei due sia la causa e quale l’effetto non cambia proprio nulla: sta di fatto che il golf sta diventando uno sport di picchiatori. La potenza nel golf professionistico è quasi tutto. Già da diversi anni l’eccesso di potenza nel golf ha reso i percorsi – anche quelli storici e da Major – sempre più corti e facili per i professionisti. Così chi guarda il golf in tv o su smartphone spesso si annoia davanti a gare decise in base al principio chi la tira più forte vince. Sul fisico da culturista di tanti giocatori nessuno può intervenire, su bastoni e palline si.
“Le piscine non si allungano, eppure…”
Nel documento si mette nero su bianco che “il golf non diventa un gioco migliore se ogni generazione colpisce la palla più forte di quella precedente. Altri sport migliorano ma non devono cambiare i loro stadi: le piscine e i campi da tennis non si allungano. I percorsi da golf devono invece essere sempre più grandi per reggere professionisti dal gioco sempre più lungo. Aumentare la distanza di un driver può portare a una perdita della varietà e della creatività dei colpi. Distanze più lunghe, campi più lunghi e una durata del gioco più lunga stanno spingendo questo sport nella direzione sbagliata”.
L’Amen Corner? Quello con più birdie ad Augusta
Partiamo proprio da campi che stanno stretti a molti professionisti. Il quotidiano spagnolo El Pais cita il tempio di Magnolia Lane, dove si gioca l’Augusta Masters. “Tutto è cambiato nel 1997 – si legge – quando Tiger Woods, precursore del professionista con il debole per la palestra, vinse all’Augusta National Golf Club con un emblematico -18. Chiuse con ben dodici colpi in meno del secondo classificato Tom Kite”. Cinque anni dopo sono iniziati i lavori di adeguamento del percorso per contenere la potenza nel golf ed evitare distacchi simili. Da allora 14 delle 18 buche del Masters sono state allungate e/o rifatte.
Nel prossimo Masters, tra due mesi, debutterà la nuova buca 13, la terza dell’epico Amen Corner: Azalea arriverà ad essere lunga 466 metri. Fino all’anno scorso era un par 5 ormai solo sulla carta: dopo la botta col driver, un pro arrivava in green col secondo ferro, ossia un 6 ma anche un 7. I numeri parlano sin troppo chiaro: nel 2019 in media Azalea è stata chiusa in 4,4 colpi, risultando la buca con più birdie (158) e eagle (17) dell’intero tracciato. Alla faccia dell’Amen Corner: se il mito delle tre buche viene bombardato da Koepka e soci cade anche un pezzo di mito di Augusta. E se cade Augusta…
L’effetto domino è sotto gli occhi di tutti. Se muscoli e tecnologia spingono le palline sempre più in là è evidente che i percorsi dovrebbero spostarsi sempre più in là. In Georgia sono corsi ai ripari ma quanti circoli e/o proprietari possono mettere a bilancio milioni di dollari o euro per adeguare il tracciato? Non solo: tanti percorsi sono incastonati nel cuore di un paesaggio naturale e fisicamente non è possibile cambiarne forma e lunghezza. Senza dubbio, la tecnologia ha allungato i colpi e accorciato i campi da golf.
L’evoluzione della specie golfistica
Chi studia l’evoluzione della specie golfistica si nutre di numeri. Prima dell’approdo sul pianeta Terra di Tiger Woods la distanza media di un colpo dei primi venti giocatori sul PGA Tour era di 254 metri. Oggi siamo arrivati a 283 metri: in pratica col primo tiro si copre il 65% di una buca sul circuito. Secondo lo spagnolo José María Olazabal “questo è un altro sport, non è più golf”.
E non finisce qua. Sempre secondo l’analisi de El Pais, in vent’anni la potenza nel golf è cresciuta a dismisura e continua a farlo. Il quotidiano iberico ricorda che negli Anni Ottanta Jack Nicklaus, un “martellatore”, mandava il suo tee shot mediamente a 245 metri di distanza. Dieci anni dopo Greg Norman batteva tutti con i suoi 253 metri. Nel Duemila John Daly la metteva a 275 metri (e Tiger a 272). Dieci anni fa Dustin Johnson faceva volare la pallina a 281 metri. Oggi Cameron Champ raggiunge i 292 metri.
Avete presente quanti sono duecento-novanta-due metri dal tee di partenza? Guai a dire che la potenza nel golf non sia quasi tutto a certi livelli.
“Al momento” l’industria del golf trema
Tanti o troppi che siano quei 292 metri il rapporto Distance Insights Project ha spaventato non poche l’industria del golf. Sullo sviluppo di materiali per driver, palline, scarpe e abbigliamento ci sono gruppi internazionali che hanno investito fiori di milioni di dollari. Ci sono laboratori che piegano fisica e aerodinamica pensando allo swing di Brooks Koepka o Jon Rahm. Cosa facciamo? In nome del gioco meno lungo, si potrebbero d’istinto cambiare le regole d’ingaggio. Ad oggi qualsiasi prodotto usato dai professionisti deve rispondere a una serie di specifiche tecniche decise da USGA e Royal & Ancient. Niente standard, niente omologazione quindi.
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Ebbene in Distance Insights Project c’è scritto che “al momento non si intende prendere in considerazione la revisione dei requisiti generali” per ottenere l’omologazione di un driver piuttosto che di una pallina. Immagino la reazione di Ceo e azionisti di Nike, Callaway, Titleist, Ping e & Co. davanti alle parole al momento. Personalmente non credo sia possibile: il golf è uno sport ma anche un’industria.
L’amateur vuole più potenza nel golf
Stringere le regole per i professionisti a cascata finisce per colpire anche gli amateur.
Semplifico: se un ipotetico Molinari con il suo driver fa volare la pallina a ipotetici 350 metri (!), il dilettante Mario Rossi vorrà provare quel driver per arrivare anche “solo” a 220-250 metri (sempre ipotetici). Senza vedere quel bastone nella sacca di Molinari al signor Rossi non verrà mai in mente di acquistarlo. Ci siamo capiti: quel colpo a 400 metri fa vendere attrezzatura e lezioni di golf, crea attesa su siti Internet e riviste specializzate. E l’industria del golf prolifica.
Il golfista amateur non giocherà mai ad Augusta in diretta tv in mezzo mondo: a lui interessa stampare il tee shot il più lontano possibile a Tolcinasco e a Valderrama. Il problema del campo corto non lo sfiora, tantomeno quello di pallina meno performante. Lui vuole il massimo risultato per il suo swing.
Distance Insights, una dichiarazione di guerra
Chi gestisce il golf mondiale si prenderà la responsabilità di spezzare questo circolo virtuoso? Difficile, quasi impossibile. Il Distance Insights porta a galla il problema della distanza senza fornire ad oggi alcuna soluzione concreta (se ne riparlerà in un’appendice prevista tra un mese e mezzo). Il rapporto firmato USGA e R&A, secondo chi vive di golf, è una dichiarazione di guerra recapitata più o meno velatamente al business che sta attorno al golf professionistico. Contratti pubblicitari e sponsor tecnici spesso decidono il calendario e la stagione dei professionisti.
Io dico che…
Personalmente credo che l’eccesso di potenza nel golf possa diventare un problema sempre più grande nel mondo professionistico. Non ho la ricetta magica e, non sono in ambito sportivo, diffido da chi ha risposte semplici a problemi complessi. Si potrebbero modificare le regole locali, differenziandole drasticamente tra amateur e pro. Sullo stesso campo il primo potrebbe usare qualsiasi bastone in sacca, il secondo solo i legni. Oppure il secondo potrebbe usare il driver solamente in alcune buche come previsto dalle regole locali. Oppure dal decimo tee shot tirato (scelgo una quota a caso) si potrebbe prevedere un colpo di penalità ogni driver usato. Medesimo ragionamento sul tipo di palline riservate al dilettante e al professionista. Ripeto: sono ipotesi scritte di getto, con qualche vantaggio e tanti svantaggi.
L’alternativa è vedere un driving contest lungo 18 buche.
DISTANCE INSIGHTS PROJECT : ecco il documento integrale
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Il parere dei lettori
Roberto Giuseppe Bosisio– “Sinteticamente:
1) su decine di milioni di giocatori di golf, i prima categoria e i professionisti rappresentano solo una piccolissima percentuale, quindi non e’ a loro che il gioco deve adeguarsi, se mai l’opposto.
2) invece di allungare i campi per i professionisti, sarebbe sufficente obbligarli ad usare palline più leggere o con meno dimples.
3) per velocizzare i tempi di gioco e aumentare i partecipanti sarebbe sufficente limitare le gare a 12 buche.
4) limitare il numero di bastoni in sacca a 7-10 ridurrebbe i costi e le fatiche avvicinando un maggior numero di persone al golf e renderebbe più difficoltoso il gioco ai professionisti, sviluppando nel contempo le abilità ad eseguire mezzi colpi.”
Giorgio Riccadonna – “Credo che si possa semplicemente fissare un peso massimo per le palline. Un po’ come quelle leggere che trovi in certi campi pratica che non hanno spazio. Una via di mezzo tra quelle attuali e quelle leggere. Poi puoi picchiare quanto vuoi ma più di tanto non fai distanza….. Un saluto”
Giovanni Dibona – “I costi per allungare i campi sono troppo alti e in più in certi casi impossibili. Una proposta sarebbe di proporre ai Pro una pallina meno performante mentre per gli amateur lasciare le cose come stanno. Il bello del golf sostengo sia la tecnica su ogni colpo sopratutto sul gioco corto che è inventiva e sensibilità. Di giocatori lunghi sono pieni i boschi e il golf non deve ridursi a un gioco di lunghezza. Per quanti si divertono solamente a tirarla lunga ci sono le apposite gare . Buon golf”
Giuseppe Di Natale – “Premetto che l’articolo evidenzia con precisione un problema che effettivamente rischia di stravolgere il golf professionistico. Ma il golf ha già troppe regole e non si può pensare di gestire con regole locali che stravolgerebbero anche il golf dei dilettanti. La corretta soluzione potrebbe essere quella di porre dei limiti sulle attrezzature dei pro mentre lasciare che i dilettanti possano avvantaggiarsi delle tecnologie per avvicinarsi alle distanze dei pro. Questo consentirebbe di lasciare i campi da golf così come sono adesso. Lasciare che le distanze dei pro come per altri sport si migliorino attraverso l’evoluzione fisica ma non con evoluzione tecnologica e consentire ai dilettanti che invece possono sfruttare la tecnologia sentirsi dei piccoli pro Grazie e cordiali saluti”.
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